Tirano: la comunità Il Gabbiano aveva aiutato Youssef Barsom, il 18enne morto a San Vittore. «Gli volevamo molto bene»

Il 18enne è morto carbonizzato nel carcere di San Vittore a Milano, dove era detenuto dallo scorso luglio in attesa di giudizio per una rapina. La comunità: «Ci ha fatto impazzire, ma gli abbiamo voluto un bene autentico, viscerale. Era affettuoso e sensibile»

Aveva vissuto a Tirano, la comunità Il Gabbiano aveva cercato di aiutarlo, il 18enne morto carbonizzato nel carcere di San Vittore a Milano, dove era detenuto dallo scorso luglio in attesa di giudizio per una rapina. Joussef Moktar Loka Barsom ha perso la vita attorno alla mezzanotte tra giovedì e venerdì nella sua cella a seguito di uno spaventoso incendio.

La Procura ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo a carico del compagno di cella, presente al momento della tragedia e rimasto completamente illeso e l’autopsia sul corpo del 18enne sarà disposta nelle prossime ore. Non si esclude, al momento, che il rogo possa anche essere stato appiccato proprio dal giovane detenuto, in un atto di protesta poi degenerato in tragedia.

«Youssef Barsom era un “nostro” ragazzo - le parole di Cecco Bellosi, direttore educativo della comunità “Il Gabbiano” -. Dico “nostro” non solo perché è stato in comunità minori, ma anche perché abbiamo provato più volte a continuare ad accoglierlo anche quando se ne andava a Milano finendo nei guai che gli hanno fatto varcare la soglia di quell’inferno che è oggi San Vittore. Ci abbiamo provato ad accoglierlo anche a Tirano, dato che Youssef aveva dei problemi importanti di sofferenza psichica, ma la sua ansia di fuga appariva in certi momenti incontenibile. Una fuga nel mondo che è diventata fuga dal mondo. Era un ragazzo affettuoso e sensibile. Ricordo i suoi abbracci intensi, che chiedevano protezione e tenerezza. E il suo sguardo, pieno di un sorriso malinconico. La sua sofferenza era emotivamente comprensibile, razionalmente imperscrutabile. Youssef è stato uno dei ragazzi a cui abbiamo voluto più bene, un bene autentico, perché nel vederlo perdersi ci sentivamo persi anche noi. Ed è morto a 18 anni, in un carcere bolgia, sovraffollato e pieno di sofferenza mentale. Il dolore che chi l’ha conosciuto sta provando è pari all’affetto che abbiamo provato e proviamo per lui, ma soprattutto all’affetto che lui ci ha donato».

«Youssef ci ha fatto letteralmente impazzire - ha raccontato su Facebook un’operatrice della comunità, postando una foto del 18enne di origini egiziane -. Eppure gli abbiamo voluto bene, tanto bene, un bene autentico, viscerale. I nostri telefoni sono intasati di sue foto, perché amava farsi i selfie, questa che vi allego invece gliel’ho fatta io, un giorno nella sua Milano, la città che ha accolto la sua stranezza e la città che lo ha risucchiato fino alla morte. Quante volte ha sfidato la morte? Troppe. Ma questa volta forse l’ha cercata perché si era arreso. Eppure io lo voglio ricordare così come in questa foto, in tutta la sua vitalità, e nella sua esuberanza».

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