Cronaca / Tirano e Alta valle
Sabato 25 Luglio 2015
Ridotto in fin di vita. Ma in casa di riposo deve pagare la retta
Lucchini fu colpito col cacciavite a testa e torace. Non si è mai ripreso e ora per la sua famiglia pure la beffa. «Per il medico è gravissimo, ma non in stato vegetativo».
Non ha mai avuto vita facile Gianmario Lucchini, il trentaquattrenne aiuto sacrestano di Grosotto ridotto in fin di vita il 23 agosto di un anno fa da Emanuele Casula, la notte in cui quest’ultimo uccise Veronica Balsamo.
Sin dalla nascita ha dovuto convivere con una disabilità motoria al lato destro. Una disabilità che tra l’altro gli ha impedito di difendersi la notte dell’aggressione, quando Casula lo ha ripetutamente colpito alla testa e al torace con un cacciavite «per eliminare un testimone scomodo», secondo gli inquirenti.
E ora, sopravvissuto a quell’aggressione, a quasi un anno di distanza da quella notte da incubo, e dopo mesi di ricovero all’ospedale Morelli di Sondalo nei quali ha più volte rischiato di morire, arriva la beffa. I suoi familiari hanno scoperto che dovranno provvedere loro al pagamento della retta della casa di riposo di Grosotto, dove l’uomo - dallo scorso 26 giugno - è stato trasferito.
Questo perché al momento delle dimissioni dal Morelli il medico ha dichiarato lo stato di Gianmario Lucchini una “disabilità estremamente severa” e non invece uno “stato vegetativo”.
Dunque il fondo di assistenza sanitaria regionale non copre la retta del ricovero in casa di riposo. «Per noi a questo punto la battaglia è duplice - sottolinea l’avvocato Antonio Sala Della Cuna, legale che nel processo a carico di Casula rappresenta Valentino Lucchini, il fratello e curatore speciale di Gianmario, che ieri si è costituito parte civile -. Da un lato chiediamo che venga riconosciuta la colpevolezza del Casula e il fatto che quegli orrendi fatti (l’omicidio di Veronica e il tentato omicidio di Gianmario) li ha commessi tutti con una lucidità non folle ma criminale e che venga condannato a una pena commisurata alla gravità di quei fatti. Dall’altro dovremo batterci per dimostrare che quell’aggressione ha ridotto Gianmario in uno stato vegetativo vero e proprio».
«Parliamoci chiaro - aggiunge il legale - Gianmario è in coma, ha gli occhi aperti ma non è in grado di capire o comunicare nulla, è costretto su un letto, non è in grado di muoversi, di alimentarsi, di parlare, di deglutire, respira autonomamente ma a fatica. Dipende completamente dagli altri. Viene alimentato tramite un sondino e necessita di assistenza 24 ore su 24. In questo momento ha anche la febbre, cosa che fa ritenere che sia in corso l’ennesima infezione. Una banale influenza nelle sue condizioni può essere fatale».
Eppure - secondo quanto è scritto nel documento delle dimissioni dal Morelli - il suo, in base alle scale applicate per la valutazione in questi casi, è definito uno stato di “disabilità estremamente severa” e non uno “stato vegetativo”.«Stiamo parlando di numeri, scale che il medico ha applicato, un numero avanti e indietro che fa una differenza sostanziale per Gianmario e la sua famiglia. Ragioniamo coi numeri e non con l’umanità e il buon senso - sottolinea ancora l’avvocato -. È evidente che se Gianmario potesse essere riportato a casa e accudito lì, i familiari lo farebbero subito».
«Nelle sue condizioni invece non può che restare in casa di riposo, dove ci sono figure professionali e strumenti adeguati. Che la sua situazione sia valutata quale quella di uno di tanti nonni ricoverati in una casa di riposo è inaccettabile. Stiamo valutando tutte le strade, legali e non, per trovare una soluzione. Non escludo che chiederemo una perizia ulteriore sulle sue condizioni».
Ma intanto i suoi familiari, duramente provati da questa tragedia che ha stravolto loro la vita, pagano. Pagano una retta di 1.200 euro al mese che non riescono certo a coprire con la pensione e l’assegno di accompagnamento che Gianmario già percepiva per la sua precedente disabilità (500 euro in tutto). E nel frattempo aspettano il processo di Emanuele Casula. La scelta del rito abbreviato - che in caso di condanna consente la riduzione della pena di un terzo - era abbastanza scontata. «È una scelta difensiva che non commento - sottolinea l’avvocato Sala Della Cuna -. Alla fine Casula potrebbe scontare anche meno di 10 anni di carcere, ma questo è il nostro sistema giudiziario. Più che un commento la famiglia di Gianmario si fa però una domanda. Perché quell’aggressione e perché tanta crudeltà ingiustificata?».
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