Cronaca / Tirano e Alta valle
Mercoledì 22 Dicembre 2021
«Il vaccino funziona
lo dicono i numeri
qui in ospedale»
Chiara Rebucci Infettivologa, è la responsabile del centro Covid provinciale al Morelli di Sondalo
Risalgono al 2 marzo 2020 anno i primi ricoveri in Terapia intensiva di pazienti Covid provenienti da fuori provincia, Bergamo e Brescia. Poi, il 4 marzo, la prima diagnosi di positività in una donna giunta in Pronto soccorso, sempre a Sondalo, non ricoverata però perché non necessitava, quindi, il 6 marzo i primissimi ricoveri di pazienti valtellinesi nel reparto per acuti.
Da allora il Covid, con alti e bassi, non ha mai mollato la presa. Nei mesi estivi dello scorso anno e di quello che ormai volge al termine, ha dato sicuramente tregua diffondendo l’illusione che fosse finita, che il virus fosse un brutto ricordo. Ma non era così. Neppure il vaccino è riuscito a scongiurare la quarta ondata, in atto e, questo, un poco, confonde le persone. I più si precipitano ai centri vaccinali per ricevere la terza dose di vaccino, ma c’è anche chi comincia a porsi qualche interrogativo.
D’obbligo, quindi, chiedere lumi a chi, in questi ultimi due anni, ha vissuto a stretto contatto col Covid, con i pazienti colpiti dal virus, e che, meglio di molti altri può tratteggiare il corretto quadro della situazione. Il riferimento è a Chiara Rebucci, infettivologa, responsabile del centro Covid Morelli.
Dottoressa, qual è al momento la situazione al Morelli?
Ad oggi abbiamo 47 pazienti ricoverati, di cui 33 nel reparto per acuti-semintensivi e 14 nel reparto per subacuti, quindi in via di guarigione. I numeri sono sicuramente in aumento rispetto alla scorsa settimana, anche se fortunatamente non stiamo assistendo a quell’incremento esponenziale che abbiamo osservato nel corso delle precedenti ondate.
Avete in cura pazienti non vaccinati o anche vaccinati?
Grossolanamente, i pazienti si distribuiscono al 50% tra vaccinati e non. Però credo non sia il numero assoluto che conta, ma la proporzione sulla popolazione generale. Perché considerando questo parametro, capiamo quanto sia inferiore il rischio di finire in ospedale per le persone vaccinate rispetto a quelle non vaccinate. Mi spiego. Date più o meno 150mila persone vaccinate in provincia di Sondrio, circa il 90% degli aventi diritto, e date in 15mila, sempre a spanne, quelle non vaccinate, capiamo bene che trovare in ospedale 15 persone vaccinate su 150mila è ben diverso che trovarne 15 non vaccinate su 15mila. Vuol dire che la copertura vaccinale funziona.
E non tutti vengono ricoverati per Covid
Non tutti i pazienti vaccinati ricoverati hanno la polmonite, abbiamo anche pazienti assolutamente asintomatici per Covid, ma che troviamo positivi in accesso al Pronto soccorso per tutti altri motivi. Pazienti che, a quel punto, vengono ricoverati da noi per motivi epidemiologici e che proseguono nel nostro reparto le cure in relazione alla problematica principale che li ha portati al ricovero. Tengo a sottolineare, tuttavia, che, per noi, un malato è un malato, vaccinato o no. Al di la di quello che può essere il nostro pensiero personale, un operatore sanitario presta cure a chi ne ha necessità. A mio avviso è fondamentale stressare continuamente l’importanza del vaccino, capirne l’importanza come arma anti Covid, ma smussando i toni.
Quanto impatta, quindi, la vaccinazione sulla malattia?
I vaccini sono stati studiati per evitare che chi entra a contatto col virus sviluppi forme gravi di malattia e, al tempo stesso, è dimostrato che riducono la capacità replicativa del virus, quindi il rischio di trasmissione dell’infezione e il rischio che si creino mutazioni. Dopodiché, ogni vaccino ha una percentuale di efficacia diversa, che può essere quasi prossima al 100% per alcuni vaccini, quelli a mRna, nei mesi immediatamente successivi all’inoculazione, per abbassarsi progressivamente nel prosieguo.
Cosa ha insegnato l’esperienza di questi mesi?
Quello che abbiamo imparato in questi mesi è che l’effetto protettivo dei vaccini è massimo nei primi cinque mesi, di cui l’indicazione ad effettuare una dose di richiamo dopo 150 giorni dalla seconda. Vorrei anche ricordare che per tutti i vaccini sono previsti richiami, per cui non mi sembra particolarmente sconvolgente l’idea di effettuarli anche in questo caso. Dopodiché, il vaccinato che entra a contatto col virus può comunque diventare positivo, restando però nella maggior parte dei casi completamente asintomatico o sviluppando sintomi da lievi a moderati, simil influenzali.
Ci sono persone, però, che accusano sintomi importanti anche se vaccinate, perché?
Perché i vaccini non sono una bacchetta magica che ci rende invulnerabili. Sono un’arma potentissima, la più potente che abbiamo per evitare di ritrovarci nella situazione catastrofica delle tre precedenti ondate, ma non infallibile perché, come già detto, la copertura non è al 100% pieno. Esistono patologie che, per loro stessa natura, o per le terapie che richiedono, rendono la risposta al vaccino parziale, quindi alcuni pazienti non riescono a sviluppare una buona risposta al vaccino. Poi la maggior parte dei vaccinati ha già superato i 150 giorni dalla seconda dose, quindi è fondamentale, che tutti facciano la booster. Alcuni pazienti, appena arrivati in reparto, ci hanno detto “avrei dovuto fare la terza dose fra tre giorni, non ho fatto in tempo”.
Rispetto all’età delle persone che sono ricoverate da voi, può fornirci un quadro?
Preferisco di no per pudore e rispetto per chi non c’è più. Un papà, una mamma, un fratello, sono tali anche se vaccinati, non vaccinati, giovani, anziani, con ventimila comorbilità (con più patologie, ndr) o sani come pesci. Il Covid non guarda in faccia a nessuno.
Un anno e mezzo fa una cura non c’era per il Covid. Oggi, invece?
Ad oggi l’unico farmaco che ha dimostrato una differenza in termini di mortalità sui pazienti Covid positivi resta il vecchio cortisone. Utilizziamo anche altri farmaci, per esempio gli anticorpi monoclonali, ma questi servono a ridurre il rischio di progressione della malattia. Quindi, ancora una volta, capiamo quanto è importante il vaccino, che protegge noi e gli altri.
Dottoressa, lei se l’aspettava questa quarta ondata?
Un aumento del numero dei pazienti positivi era assolutamente presumibile. Abbiamo imparato che il Covid è una malattia con andamento stagionale. I dati di Israele ci avevano già detto che l’effetto protettivo del vaccino si riduceva a sei mesi e, infatti, si è partiti con la dose booster ad ottobre per i fragili. A chi è scettico vorrei ricordare cosa è successo nelle Rsa nella prima e seconda ondata. Mentre, ad oggi non abbiamo pazienti ricoverati provenienti dalle Rsa.
Attualmente, riuscite a far fronte alle esigenze di ospedalizzazione con i letti attivati?
Sì, abbiamo attivi 40 posti letto per acuti, di cui otto di terapia semintensiva e 15 per sub acuti. Se i numeri dovessero aumentare, si valuterà per un ampliamento dei posti letto. Abbiamo sempre cercato di gestire i nostri pazienti in valle e ci siamo sempre riusciti.
Salvo, attualmente, per la Terapia intensiva per la quale si va fuori provincia. Avete già indirizzato pazienti fuori?
Sì, tre, tutti non vaccinati. C’è una centrale di coordinamento regionale che si occupa di questi trasferimenti e sono sempre stati gestiti in modo rapido ed efficace. Del resto riuscire a tenere Covid free la Terapia intensiva a Sondalo è importante anche per evitare di bloccare tutta l’attività ospedaliera non Covid. Per questo si lavora a tenere il più basso possibile il livello di occupazione Covid delle Terapie intensive.
Voi operatori, dopo mesi in prima linea, riuscite ancora a combattere la battaglia?
Il personale sanitario è esausto, psicologicamente e fisicamente, per la continua pressione cui è sottoposto, le incertezze in cui vive, i carichi di lavoro imponenti fuori e dentro l’area Covid. E tutti, medici, infermieri, operatori socio sanitari, coordinatori infermieristici, stanno facendo uno sforzo e un lavoro immane per garantire assistenza adeguata ai pazienti. Anzi, colgo l’occasione per dire pubblicamente grazie agli operatori che stanno resistendo, dopo 21 mesi di reparto Covid, per la professionalità e l’umanità che dimostrano.
Quando potremo dirci fuori dal tunnel?
Ci vorrà del tempo. Probabilmente dovremo imparare a convivere col Covid ed entrare nell’ottica di richiami periodici. Ma da medico e da infettivologa mi fido della scienza. In 22 anni di professione, grazie ai farmaci ho visto malattie che erano condanne a morte diventare curabili, come l’Aids. Sono in avanzata fase di studio antivirali che sembrano essere estremamente efficaci nel controllo della malattia da Covid. Per cui dobbiamo credere nella scienza, quella vera, che si studia in università o sulle riviste scientifiche serie, non su Facebook o Wikipedia.
Elisabetta Del Curto
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