Cronaca / Tirano e Alta valle
Lunedì 08 Agosto 2016
Gran Via delle Orobie, un trekking ancora molto “selvaggio”
Per qualcuno il percorso di 130 chilometri che collega Delebio ad Aprica in quota resta inaccessibile. Escursionisti scoraggiati dalla difficoltà di trovare informazioni sull’apertura di rifugi e bivacchi dove fermarsi.
La Gran Via delle Orobie? Un miraggio per alcuni escursionisti che vorrebbero percorrere il sentiero lungo 130 chilometri che collega Delebio ad Aprica a quote che vanno dai 1400 metri d’altezza (con qualche breve tratto più basso) fino ai 2500 metri, ma che si scoraggiano davanti alla scarsità di informazioni su rifugi e bivacchi.
È accaduto a due coppie di escursionisti olandesi che, animate delle migliori intenzioni alpinistiche, sono approdate qualche giorno fa in una struttura ricettiva di Aprica, da dove avrebbero voluto lasciare le tende e partire per una quattro-giorni lungo la Gran Via delle Orobie, dal Tagliaferri verso ovest. Un’idea che è rimasta solo intenzione. «La loro preoccupazione, nonostante le ricerche effettuate via internet - spiega il gestore del camping Aprica, Antonio Stefanini -, rimaneva l’incertezza sull’apertura di rifugi e bivacchi e quella, eventualmente, di come reperire le chiavi degli stessi».
Di fatti la consultazione di cartine e mappe risulta difficile di fronte ad una vera e propria giungla di rifugi, capanne, baite e bivacchi - dal rifugio Caprari alla baita Cigola, dai rifugi Mambretti e Donati ai bivacchi Corti e Resnati, dal rifugio Pesciola al bivacco Aprica - che dovrebbero avere funzioni diverse (in teoria il rifugio è gestito), ma in realtà non sono di così facile accessibilità.
«Ebbene, nonostante domande di informazioni di qua e di là, alla fine i quattro hanno rinunciato all’idea - prosegue Stefanini - e la GVO rimarrà orfana della loro presenza ed, eventualmente, di altri, perché troppo selvaggia e, soprattutto, perché risulta oltremodo complicato reperire informazioni sulla situazione apertura o reperimento chiavi ai rispettivi Cai di competenza passando da un Comune all’altro, da un rifugio o un bivacco all’altro. Chissà perché, uno dei due olandesi aveva come mitizzato “il sentiero delle Orobicje” (come lui diceva) e a nulla sono valsi i tentativi di convincerlo a restare nella parte più a est, ossia Val Paisco/Torsoleto, bivacco Davide/Tagliaferri, Tagliaferri/Curò, Curò/Barbellino, quella più conosciuta ad Aprica e dintorni. Pazienza, sarà per la prossima volta. Perché i quattro olandesi hanno detto che ritorneranno quando avranno trovato più precise informazioni e certezze. Per ora sono andati in Trentino».
Cerca di fare un quadro della situazione il direttore del Parco delle Orobie, Claudio La Ragione. «Mi spiace per gli olandesi che se ne sono andati da un’altra parte, ma effettivamente non c’è un modo univoco di definire queste strutture di accoglienza, che non sono aperte e gestite come succede sull’alta via della Valmalenco dove in ogni tappa c’è un rifugio con un gestore - risponde -. Va detto che ci sono ispettori che profondono impegno anche sulla GVO: penso a Arialdo Donati che si occupa del rifugio Donati e a Luigi Colombera del Mambretti che passano molte giornate a pulire, rimpiazzare lo zucchero finito, preparare la legna, ma è vero che i punti di riferimento sono pochi. Ad esempio il tratto da Aprica al Donati è privo di strutture. Con una deviazione di 15 minuti, nel versante bergamasco, si può dormire al rifugio Tagliaferri (gestito), ma da questo al Donati la tappona è veramente impegnativa».
Che fare dunque? Lasciare che la GVO resti la cenerentola dei percorsi valtellinesi? Posto - come dice La Ragione - che rifugi gestiti non si possano istituire, il Parco propone di prendere atto della maggiore difficoltà delle Orobie per promuoverle come territorio selvaggio, meno strutturato.
Per evitare di mandare allo sbando escursionisti - magari neppure esperti - La Ragione invita a consultare il sito del Parco dove si trovano i riferimenti delle guide alpine o accompagnatori di media montagna, che sanno affrontare questo territorio e accompagnano gli escursionisti. «L’alpinista esperto, con tendina sulle spalle o l’appoggio di qualche bivacco, può girare autonomamente, ma i gruppi sarebbe meglio che si appoggiassero a guide competenti. Io stesso - conclude - tendo a scoraggiare questo tipo di percorso a persone che non conoscono la zona».
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