Cronaca / Tirano e Alta valle
Venerdì 22 Luglio 2016
«Don Giacomo, splendido albero della Chiesa»
Il ricordo del prete di Valfurva scomparso a fine giugno. «Rifiutava una fede che fosse esclusivamente di facciata. Era anche consapevole dei suoi sbagli e dei suoi limiti. Non dimenticate il suo messaggio originale e benefico».
Il senso vero della vita di don Giacomo è incastonato in 2 Tm 4,7: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”, il testo di S. Paolo sul quale il nostro vescovo Diego ha puntato, diritto e diretto, la sua omelia esequiale.
Le mie disordinate e frammentarie annotazioni possono essere soltanto un modesto contributo per mantenere viva la memoria di questo straordinario sacerdote. Di una cosa sola sono certo: per capirlo e non tradirlo è indispensabile partire, non dalle sue opere, ma dal suo cuore, veramente speciale: tutto e solo di Dio, tutto e solo per le anime. Qui sta la sua grandezza che dovrebbe contagiare anche noi di un ardente desiderio di avere un cuore sacerdotale tracimante di amore verso Dio e verso i fratelli.
È facile fotografare don Giacomo se prendiamo quella antica iscrizione, che noi sacerdoti conosciamo, riferita al Buon Pastore che pasce il suo gregge: “Amore, more, ore, re”. Don Giacomo ci è riuscito: per tanti anni, come il Buon Pastore, ha guidato la sua Comunità di S. Nicolò Valfurva con instancabile dedizione, con la condotta esemplare, con una pregnante predicazione e con tutte le sue risorse economiche. L’ho conosciuto bene perché sono stato suo coadiutore dal 1979 al 1983: ma avendo frequentato S. Caterina Valfurva prima come alunno di don Folci, poi come chierico del Seminario di Milano, l’avevo già visto e sapevo diverse cose su di lui.
Mi piace rivedere don Giacomo mentre porta i sacchi di cemento per la costruzione della chiesa di S. Caterina. Quando ho ricevuto la destinazione, alcuni confratelli mi inducevano a pensare al mio immediato futuro in termini di rischio: non ho dato peso a questa insinuazione, anzi ho intuito subito che per me era sicuramente una provvidenziale opportunità lavorare con un parroco di grande spiritualità e di non meno dinamicità. Mi sentivo contento, fortunato, privilegiato, invogliato e, nello stesso tempo, un pulcino vicino ad un’aquila.
La prima consegna è stato il pulmino; mi ha detto: “Adesso pilota tu!”. Don Giacomo mi ha insegnato la fatica e la gioia di essere prete; l’importanza del binomio oratorio-scuola per un coadiutore; l’interesse per i bambini dell’asilo parrocchiale e per gli anziani, la cura degli ammalati, il valore della preghiera, mi augurava la soddisfazione di andare a letto la domenica tardi (si faceva il cinema), stanco morto; mi raccomandava di non tralasciare mai il breviario, a costo di recitarlo nel cuore della notte... ma la sua massima preoccupazione era di appassionarmi all’Eucaristia: mi mandava a S. Caterina, anche se c’era la neve alta, per portare la Comunione ad una sola vecchietta... il Giovedì Santo dava il meglio di sé e nell’adorazione notturna mi faceva pregare con lui da mezzanotte alle due...
È l’Eucaristia la garanzia del cuore d’oro di un sacerdote! La mia esperienza con don Giacomo è stata molto vivace: fatta di confronti e di scontri; di condivisione di ideali e divisione nei metodi educativi; Lourdes-Fatima... da una parte, Sardegna-Spagna dall’altra... ma era normale che fosse così. Lui era molto legato alle direttive restrittive del Card. Colombo. Diceva il saggio Mons. Artusi, mio compaesano: “La carne che crès la po’ miga sempre andà d’acordi con la carne che cala”, lui del ’21 io del ’51.
Al di là di tutto questo, ci volevamo bene, ci apprezzavamo a vicenda. Ogni domenica io ascoltavo con molto interesse la sua predica ma pure lui, con umiltà, voleva sempre ascoltare la mia. Non era un tradizionalista: rifiutava una fede solo di facciata, ridotta all’esteriorità, inculcava una religiosità esistenziale, che innervasse la vita. In tante cose era innovativo e avanti di un passo rispetto ad altri parroci. Non permetteva che i fedeli si adagiassero: ogni anno, oltre a tutto il resto, si programmava una settimana o biblica o liturgica o mariana... Nella realtà turistica di S. Caterina non voleva che la pastorale si riducesse alla Messa e alle Confessioni; era propositivo: accoglieva, valorizzava i gruppi e, il complesso strutturale da lui creato, permetteva, anche alle associazioni più numerose e impegnate, di esprimersi.
La cosa più bella è che mangiavamo insieme. Durante i pasti lui apriva il suo cuore con tutta la carica di bontà e di attenzione per ogni situazione familiare che conosceva molto bene.
Le espressioni di tenerezza più squisite le ho ricevute da lui. Quando, per qualche risentimento, disertavo, soffriva; al mio ritorno piangeva e mi ringraziava, non voleva che gli chiedessi scusa e una volta mi ha detto: “Vedi don Marco, un bel arcobaleno si vede solo dopo un brutto temporale”. Don Giacomo si confidava e raccontava: di suo padre che era morto fulminato e, mentre cadeva dal traliccio, gli usciva dalla tasca la corona del Rosario; della sua inquietudine con l’arciprete Bormetti che al rientro, dopo una incontrollata fuga, l’aveva punito proibendogli di celebrare la Messa festiva in parrocchia e mandandolo dalle suore. Con me don Giacomo era più benevolo: non mi ha mai interrotto nessuna iniziativa con i giovani, anche se non era di suo gradimento e, quando fiutava qualche mia intemperanza del sabato sera, si limitava a farmi celebrare la messa domenicale alle sette, che di solito era sua.
Don Giacomo era forte ma non cattivo. A qualcuno sembrava autoritario e desideroso di avere solo esecutori ma non era così. Era consapevole dei suoi sbagli, dei suoi limiti e che il giusto pecca sette volte al giorno. Conosceva bene Lc 6,26: “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti”. E’ stato un uomo libero nell’esercizio del suo ministero, sia nel parlare che nel tacere; non si è mai venduto né fatto comprare: a volte è stato una figura scomoda.
Non lo ha mai sfiorato quella mondanità, chiodo fisso nei richiami di Papa Francesco ai preti. Non si è mai piegato alle lusinghe della popolarità.
Lo spirito di povertà era evidente in lui, nel modo di vestire, nello spazio ridotto che riservava a sé, nella macchina, nel distacco dalle cose superflue. Don Giacomo leggeva molto, si teneva aggiornato, soprattutto attraverso Avvenire e riviste, in particolare gli piaceva “Il Settimanale della diocesi di Como”, direi che lo divorava; per questo era significativo ricordarlo, anche se in modo un po’ prolisso ed emotivo, su quelle pagine e ora sul quotidiano “La Provincia di Sondrio”.
Direi che è un onore, per la nostra diocesi, avere avuto un presbitero con la spina dorsale e con tante angolature di luce: faceva sempre tutto solo per amore, io non ci riesco. La creatività di don Giacomo, in continuo crescendo, ha potuto reggere grazie alla presenza qualificata e motivata delle Signorine del C.O.E. di Barzio, che, senza escludere la collaborazione e il volontariato parrocchiale, hanno dato a lui sicurezza e serenità. Tutti noi che abbiamo voluto bene a don Giacomo siamo a loro riconoscenti; anche nel lungo periodo di passività non lo hanno mai trascurato.
Pochi giorni prima della morte ho visitato don Giacomo; mi sono inginocchiato per ricevere la sua ultima benedizione, poi gli ho impartito la mia. Ci siamo baciati e commossi entrambi e insieme abbiamo pregato con quelle giaculatorie a lui tanto care: “Rimirateci o Maria con quegli occhi di pietà...Gesù, Giuseppe e Maria vi dono il cuore...”
SIA LODATO GESU’ CRISTO! Don Giacomo!
Al tuo ingresso in Valfurva dicesti che ti sentivi una piccola pianticella tra gli imponenti pini e gli alti alberi del parco dello Stelvio. Noi oggi, invece, ti diciamo che sei stato uno splendido albero nel grande parco della Chiesa. Un albero meraviglioso, come quello che i giovani mettevano in oratorio a Natale, che, splendidamente addobbato, si rifletteva nel pattinaggio di ghiaccio.
Un abete affascinante, che si è innalzato perfettamente diritto verso il cielo e che ha esteso orizzontalmente, con ampiezza, le sue fronde. Siamo testimoni, intimamente grati, dell’immensa, radicale bellezza del tuo sacerdozio, che si è effusa su chi ha avuto la gioia di conoscerti. Ti assicuriamo il nostro suffragio. E tu prega per noi perché, come te, cementiamo l’ideale della Comunione con il Signore e l’ideale del servizio ai fratelli e perché la nostra carità diventi specchio dell’amore di Dio.
E tu, sua e mia amata Valfurva, non dimenticare troppo presto il messaggio originale e benefico del tuo Prevosto.
* parroco di Lierna© RIPRODUZIONE RISERVATA