Cronaca / Valchiavenna
Sabato 08 Settembre 2018
Spellecchia e l’ assoluzione: «Non ci fu alcuna violenza»
Rese note ieri le motivazioni della sentenza pronunciata a giugno. Il collegio giudicante scrive: «Le indagini preliminari risultano “inquinate”».
Le fonti probatorie che hanno innescato le indagini preliminari e rinviato a giudizio Domenico Spellecchia - ginecologo e primario a Chiavenna fino al giorno del suo arresto (dicembre del 2014) - «non hanno “tenuto” al vaglio dibattimentale». Non ci sarebbe stata quindi la prova che - «al di là di ogni ragionevole dubbio»- sia stata commessa violenza sessuale.
Di più: anche se si può affermare «che ci siano stati da parte dell’imputato comportamenti per così dire “ridondanti”, “debordanti” dallo stesso perimetro delle manovre indispensabili» dal punto di vista medico, «il consenso dimostrato dalle pazienti, che appare evidente dalle immagini riprese in sede di intercettazione, svuota di contenuto anti giuridico le azioni descritte e supposte come indebite o invasive della sfera sessuale altrui».
È questo il ragionamento fatto dai giudici che nel giugno scorso hanno assolto Spellecchia dalle pesanti accuse di violenza sessuale mosse nei suoi confronti per una ventina di casi avvenuti - secondo l’accusa che per lui aveva chiesto 10 anni di carcere - nell’ambulatorio in cui visitava, all’interno dell’ospedale di Chiavenna.
La testi messa nero su bianco dal giudice Barbara Licitra (che con Barbara Della Nave sedeva a latere del presidente Pietro DellaPona), parte dalla premessa che il collegio giudicante si è astenuto da giudizi «di carattere morale e da valutazioni di natura prettamente deontologica».
Detto questo, le donne che - loro malgrado - si sono ritrovate al banco dei testimoni - sono state suddivise in più gruppi: le pazienti (due) che hanno mosso accuse pesantissime nei confronti del medico, ma per le quali non esistono riscontri, dal momento che le intercettazioni ambientali sono iniziate proprio dalle loro denunce; le pazienti «conclamatamente consensuali» (due, una delle quali neppure ritenuta parte offesa); le pazienti che hanno mosso accuse e si sono costituite parti civili (cinque in tutto); ed infine le donne che non solo non hanno accusato il medico, «ma anzi in certi casi hanno pure dichiarato di non aver avvertito alcun abuso, o addirittura hanno protestato per essere state ”costrette” a testimoniare».
Ma arriviamo al punto. Il processo si è svolto in gran parte a porte chiuse proprio per preservare la privacy delle pazienti, perché di mezzo ci sarebbero state carezze, baci, e atteggiamenti confidenziali che per la difesa - sostenuta dagli avvocati Giuseppe Romualdi e Lino Terranova - altro non erano che un approccio per mettere a proprio agio la paziente o per stabilire un legame empatico.
Al di là di una sola denuncia in cui si parla di violenza vera e propria (ma il racconto della donna non avrebbe trovato alcun riscontro), la sentenza sottolinea come «in nessuna occasione si assiste a un anche minimo gesto di ribellione, disagio, contrarietà e neppure stupore nelle presunte vittime, e questo vale per tutti i filmati depositati: le donne visitate mostrano tutte un atteggiamento di serenità, disinvoltura, agio, seguitando a parlare con il dottore, a ridere, a esporre i propri dubbi e problemi... al momento delle visite non hanno in alcun modo espresso la loro contrarietà e disagio, ponendosi all’apparenza come totalmente consenzienti e accondiscendenti, come si evince dalla visione dei filmati».
Ma allora - ci si chiede - come mai, proprio queste donne sarebbero arrivate ad accusare il medico, una volta presa visione dei filmati negli uffici della Questura? La risposta la si legge a pagina 17 delle motivazioni depositate ieri: «Le indagini preliminari risultano “inquinate” dalla mancanza di completa genuinità nelle informazioni raccolte dalle donne interessate, posto che queste non presentatesi spontaneamente a sporgere denuncia, convocate in Questura, venivano interrogate contestualmente alla visione dei filmati acquisiti e poste davanti alla imbarazzante alternativa di riconoscere qualche abuso da parte del medico, da un lato, o, dall’altro, di essere giudicate compiacenti a gesti che gli inquirenti stessi rappresentavano loro come scorretti o abusanti. Tale mancanza di serenità, che certo ha connotato l’atteggiamento delle donne interrogate in sede di indagini, si ritiene si sia riversata inevitabilmente in sede dibattimentale».
Per Spellecchia - assolto perchè il fatto non sussiste - non è comunque ancora finita la vicenda giudiziaria. Siamo solo al primo grado e la Procura sembra intenzionata a presentare appello.
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