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( foto di Luca Gianatti)
Ieri la visita all’area dell’ex ospedale psichiatrico. Verso la rigenerazione grazie al progetto “Monte salute”. Piasini: «Vogliamo che diventi un quartiere della città»
Un nuovo quartiere con vista sui vigneti e sui tetti della città. Punta a trasformarsi da luogo chiuso, simbolo di sofferenza e anche diffidenza, ad area aperta il Moncucco, l’ex ospedale psichiatrico a metà strada tra la Sondrio di sotto e Ponchiera, a due passi dal castel Masegra e ancora meno dal polo di formazione dell’Apf Valtellina, interessato dal progetto di rigenerazione denominato Monte salute finanziato con una ventina di milioni di euro.
Nel percorso di riappropriazione degli spazi, ieri pomeriggio la commissione consiliare competente ha varcato i confini delimitati dalla cosiddetta “casa rossa” guidata dall’assessore alle Politiche sociali Maurizio Piasini, dal presidente della stessa commissione Corrado Pini, dal dirigente Luca Verri e da Giuseppina Uboldi, infermiera coordinatrice che lavora da quasi quarant’anni nella struttura di cui conosce storie e segreti. Presente anche Massimo Bevilacqua, direttore di Sol.Co Sondrio che si occupa degli interventi “immateriali” legati al recupero dell’area.
Le aree di intervento
«Vogliamo mostrarvi le aree di intervento», ha detto Piasini annunciando che in primavera sarà organizzato qualcosa di simile anche per tutti gli abitanti di Sondrio. «Vogliamo che questo luogo diventi parte integrante della città. In passato è stato un luogo di dolore sia per chi ci lavorava, sia per chi aveva familiari ricoverati, oggi vogliamo che diventi un quartiere della città. La vera sfida è proprio riuscire ad arrivare a questa integrazione».
Il progetto - si tratta ancora di uno studio preliminare - prevede il mantenimento dei due servizi del dipartimento di salute mentale presenti (centro diurno e residenziale), la ristrutturazione di tre palazzine - la casa rossa (edificio costruito all’inizio del 1900 e rifatto nel 1930 dopo un incendio, unico sottoposto a vincolo) che diventerà un ostello, l’edificio bianco centrale che ospitava le cucine e verrà dedicato a comunità alloggio per persone con disabilità gravi e il padiglione Gemelli destinato al co housing - e della chiesetta sconsacrata, la rigenerazione del verde e la creazione di un parcheggio interrato a uso anche della vicina sede dell’Apf.
Restano esclusi dal recupero gli edifici ad ovest, compreso il padiglione Antonini (già Lombroso) del 1910 il primo ad essere stato chiuso visto che negli anni 40 e 50 ospitava gli “acuti” coloro cioè che non venivano curati. E proprio l’Antonini nasconde un tesoro: suggestive cantine a volta che conservavano il vino fatto dagli ospiti che lavoravano le vigne che costeggiano il lato nord dell’area. La visita nell’area dell’ex ospedale psichiatrico è un viaggio nella storia di un luogo e delle persone che lo hanno abitato, arrivate ad essere addirittura seicento.
«Un paese»
«Era di fatto un paese - racconta Uboldi arrivata negli anni Ottanta quando le persone era “solo” 220 -: c’era la portineria, le vigne erano di proprietà e si vinificava. C’erano anche le galline». Vi hanno risieduto anche le suore laiche e c’erano tutti i servizi utili, lavanderia compresa. Negli spazi dell’edificio d’ingresso, la casa rossa, sono custodite ancora le chiavi - pure quella di contenzione - e soprattutto la biblioteca e l’archivio con tutte le cartelle degli ospiti: dal primo all’ultimo. Un patrimonio inestimabile di cui ancora non si conosce il destino.
I padiglioni portano i nomi di psichiatri dell’epoca - Antonini, Tanzi, Rossi, Chiarugi, Gemelli -, a differenza della chiesetta sconsacrata, che ha ancora altare e panche, ma che non è associata ad alcun santo come ha scoperto la restauratrice Letizia Greppi. La struttura verrà recuperata, anche se ancora non ne è stata definita la destinazione: potrebbe essere una sala di ritrovo per i disabili o per l’ostello ricavato nella casa rossa.
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