Cronaca / Sondrio e cintura
Martedì 09 Agosto 2016
Pedalando per 600 km da Zagabria a Sarajevo, valtellinesi on the road
Sono partiti in tre in bicicletta a 25 anni dai primi focolai della guerra nella ex Jugoslavia.
Sono passati 25 anni dai primi focolai della guerra nella ex Jugoslavia e per chi allora era bambino i ricordi possono essere sbiaditi. Per questo, ma non solo, tre giovani valtellinesi in queste settimane hanno deciso di compiere un viaggio che hanno chiamato “Road To Sarajevo”. In bicicletta, mezzo “slow” per definizione. Con tutti i vantaggi che comporta.
Non è tanto la distanza percorsa per coprire il tragitto da Zagabria a Sarajevo a sollevare l’attenzione. Seicento chilometri per chi si è allenato senza strafare non sono una distanza che spaventa. I tre, Simone Bonetti, 34 anni titolare di una ferramenta, Davide Roncaioli, 29 anni e responsabile di filiale di una banca locale e il coetaneo Lorenzo Gambetta, avvocato, non sono nuovi al cicloturismo. L’anno scorso sono partiti dal Passo San Marco e si sono diretti a Roma percorrendo la Via Francigena. «Il sogno di raggiungere il centro vitale della Bosnia era molto intenso – spiegano i tre - un richiamo d’Oriente che si confonde tra le voci dei muezzin e le campane delle cattedrali cattoliche che suonano a festa davanti alla scintillante bellezza delle chiese ortodosse».
Si parte da Zagabria, Croazia, in direzione del confine con la Bosnia. «La Croazia rurale. Le tantissime abitazioni senza intonaco sembrano quasi riflettere quel senso di incompiutezza del territorio. Il primo traguardo è previsto a Hrvatska Kostajnica, l’ultimo lembo di terra prima della Bosnia. Si respira aria di confine, ma anche una strana calma. Percepisci la guerra, le divisioni, l’odio etnico quando di fronte a te si ergono i bastioni di Bosanka Kostajnica. Una città divisa in due. Di qua la parte croata, di là quella bosniaca. Capisci che la brace è ancora calda quando senti il fischio di un treno e noti che i vagoni sono tre, di colori differenti, per etnie differenti. Croati, bosniaci e serbi». Da qui inizia un altro viaggio. Quello in Bosnia.
«Prijedor compare all’improvviso, una cittadella tempestata di bandiere serbe che ci fa ricordare che durante la guerra qui trovarono ospitalitá ben 4 campi di concentramento. Oltrepassiamo quest’enclave serba e ci dirigiamo verso Kozarac, dove scorgiamo in lontananza i primi minareti. Non ci sorprendiamo, più della metà della popolazione bosniaca è musulmana. A Banja Luka alloggiamo proprio di fronte alla Moschea Ferhadijia, recentemente restaurata dopo essere stata rasa al suolo dai serbi nel 1993. Ennesimo sfregio alla millenaria cultura ottomana. Secondo solo al bombardamento del Ponte Vecchio di Mostar». Quindi Sarajevo, che è «Istanbul, mercatini, caffè, moschee, oriente. Vienna, Asburgo, birra, chiese, Mitteleuropa. Uno spettacolo mai visto, il tutto in poche centinaia di metri. La senti viva, ferita ma non uccisa. Si percepisce la voglia di Europa, di futuro, di pace e speranza. Sarajevo è tutto questo».
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