Cronaca / Sondrio e cintura
Giovedì 14 Gennaio 2021
Il sacerdote messaggero
dei detenuti in carcere
Don Mariano è il cappellano del carcere: «Con il Covid non possono vedere nessuno tranne me
«Sono l’unica persona che entra nelle carceri di Sondrio, oltre al personale, lì, in servizio, e mi riferisco a medici, infermieri, agenti di Polizia Penitenziaria. Perché tutto il mondo del volontariato che, normalmente, vi ruota attorno, non ha accesso, causa Covid, e sono sospese o, estremamente, diradate, anche le visite dei famigliari».
Parola di don Mariano Margnelli, cappellano delle carceri di Sondrio dal 1° settembre dello scorso anno, quando è stato nominato nell’incarico su indicazione di don Andrea Salandi, vicario episcopale per la provincia di Sondrio.
«Di fatto ho iniziato intorno alla metà del mese di settembre e, il primo giorno, me lo ricorderò per sempre. Ero terrorizzato - assicura don Mariano -. Mi sentivo squadrato da capo e piedi, fino a quando, il primo detenuto, ha rotto il ghiaccio ed è venuto a salutarmi».
Da lì in avanti, è stato un crescendo di tentativi di mettersi a disposizione di tutti coloro che avessero bisogno di ascolto, di confronto, di aiuto, nei limiti del possibile. Attività divenuta, addirittura, fondamentale, in epoca Covid.
«Son qui pieno di fogliettini di appunti su quello che devo fare e non devo fare per i detenuti - assicura don Mariano -, perché, anche se la struttura, per grazia ricevuta, è completamente Covid free, il bisogno di confronto è esponenziale e, a mancare, soprattutto, sono i colloqui con i famigliari».
«Tant’è che io sto costantemente al telefono con le mamme per rassicurarle - prosegue il sacerdote. Lunghe telefonate in cui faccio solo in tempo a dire che va tutto bene, dentro il carcere, poi, ascolto loro, che mi raccontano tutte le traversie...».
Ai detenuti, del resto, vengono sottratti i telefonini, ed hanno a disposizione pochissime telefonate da fare alla settimana. Il tutto in base a quanto dispone il giudice nei loro confronti. Hanno una cabina, all’interno, da cui possono chiamare, ma solo determinate persone.
«Tanti chiamano le mogli o le fidanzate ed esauriscono, così, il loro ’gettone di chiamata’ - dice don Mariano -, per cui chiedono a me di rassicurare le madri. Per questo sono qui, carico di foglietti con numeri da chiamare. E, poi, c’è tutto il capitolo dei bisogni di vestiario o di prodotti per l’igiene personale, cui provvedono, solitamente, le dame di San Vincenzo, ma, dato che non possono entrare in carcere, anche qui, faccio da tramite. Per cui, ogni volta che entro, son carico di vestiti, scarpe, asciugamani, shampoo. È una cosa incredibile».
Sembra di vederlo, don Mariano, con borsoni al seguito, modello “venditore ambulante”, pronto a dispensare il “necessaire” ai 30 detenuti ospitati a Sondrio.
«Cerco di dar loro una mano a superare il momentaccio del Covid che li taglia fuori ancora di più dal resto del mondo - dice -, perché, per loro, sia il fatto di non vedere i famigliari, sia il fatto di non poter uscire a lavorare, almeno chi aveva questa possibilità, o di continuare a fare attività interne, quasi tutte interrotte, come il pastificio per la produzione di prodotti senza glutine, li abbatte completamente. Sì, c’è la palestra, c’è la biblioteca, ma a loro non basta. Hanno bisogno di fare attività lavorativa, almeno un poco».
I doni graditi, carta e francobolli
Ed è così, che, per non pensare, per ammazzare il tempo, scrivono. Fiumi di lettere.
«Questo lo possono fare - assicura don Mariano -, tant’è che mi chiedono in continuazione prodotti di cancelleria. Fogli per scrivere, buste, francobolli. È’ una cosa incredibile. A Natale ho portato loro tantissimi bigliettini augurali, che ho ricevuto in dono da volontari, proprio per loro, ed erano felicissimi. Son piccole cose, ma, purtroppo, altro non possiamo fare».
Il rigido protocollo anti Covid, irrobustisce ancor più il “parco regole” in carcere, tant’è che vige l’isolamento di 10 giorni in aree riservate per tutti i detenuti al primo ingresso o di rientro da permessi premio.
Don Mariano entra in carcere quattro giorni a settimana, per due ore al giorno, il mercoledì, il giovedì, il venerdì e la domenica per la Messa. E c’è sempre la fila per andare a parlargli, in cappellina.
«C’era già prima, ma, ora che col Covid vedono solo me - assicura -, è quasi una processione».
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