
Cronaca / Sondrio e cintura
Giovedì 10 Aprile 2025
«I bambini in affido? Sono trattati come pacchi postali». La storia di una sondriese
Sondrio
«Un bimbo in affido non è un pacchetto postale da prelevare in una manciata di minuti e spostare altrove. Dopo mesi e mesi che era stato letteralmente dimenticato dalle istituzioni a casa mia, dove con i miei familiari me ne prendevo amorevolmente cura. Purtroppo, l’esperienza molto negativa che abbiamo vissuto io e la mia famiglia, mi spinge dal mettere in guardia chi, come abbiamo fatto noi, intende mettersi a disposizione, animato dai migliori propositi. Siamo stati fortemente delusi da operatori sociali che, a Sondrio, non si sono rivelati assolutamente all’altezza del ruolo da loro ricoperto. Al punto che, a queste condizioni, io non sono più disposta, in futuro, a ripetere una simile esperienza».
Il progetto
Non usa mezzi termini per bocciare il suo approccio con questo istituto, quello dell’affido, Paola Scieghi, 62 anni, residente in città, sposata a un imprenditore e madre di una ragazza universitaria. Ma cosa è successo al punto di portarla a contattarci per “denunciare” pubblicamente la sua storia ?
«Sono venuta a conoscenza del progetto ”Pronta accoglienza 0-3 anni” curato dall’associazione Le Forme del capoluogo valtellinese - racconta Scieghi -, prendo contatti con loro: ci incontriamo, mi spiegano che ovviamente devono essere d’accordo marito e intera famiglia. Si avvia un minimo percorso di preparazione, ricordano che il bimbo o bimba sono allontanati in via momentanea - da famiglie con evidenti disagi - per un periodo temporaneo e che la durata dell’accoglienza è di circa 6-7 mesi e avrebbe potuto avere un prolungamento. E che prima di un possibile rientro nella famiglia d’origine avrebbe potuto esserci un ulteriore affido, con rinnovo ogni due anni. Siamo a maggio, i pochi incontri ultimati, e a ottobre ricevo una chiamata dalla psicologa di Forme che mi chiede se confermo la mia disponibilità all’accoglienza, in quanto c’è in ospedale un piccolo di 30 giorni allontanato dalla madre su iniziativa del Tribunale e che il Comune assicura un contributo mensile di 700 euro per il mantenimento. Per un primo lasso di tempo possiamo visitarlo in ospedale sia io che i genitori d’origine. Poi, il 26 ottobre 2023, mi viene portato a casa e in mezz’ora le addette del Comune mi lasciano le carte, mi ricordano che da fine ottobre a fine novembre dovrò provvedere alle vaccinazioni di legge. Mi dicono quale sarà la pediatra di riferimento, quali le probabili iniziali necessità, mi mandano alcuni messaggi e quando il piccolo piange tanto, di giorno e di notte, e cerco un contatto con loro mi sento rispondere: “Deve stare solo con lei perché deve sentirsi amato”».
La sondriese Scieghi fa sapere a Forme delle difficoltà a rapportarsi che ha con le operatrici dei Servizi del Comune, anche dei problemi ad avere un documento, ossia una carta d’identità «che arriva dopo 5 mesi. Se ci ferma una pattuglia e ci avesse chiesto i documenti del bambino ? Dico che l’ho rapito ?». Minore che, nel frattempo, viene con «regolarità portato agli incontri protetti con la mamma, una volta a settimana, e con i nonni una volta al mese».
L’avvocato
«Finchè, ai primi di giugno 2024 - ricorda la donna - arriva la sentenza di adozione del Tribunale di Milano. Ne vengo a conoscenza dai nonni che incontro al parcheggio, vicino allo spazio neutro, dove ogni volta giunge l’operatrice per portare il piccino agli incontri. È giusto che la famiglia affidataria venga a conoscenza di questo passaggio dai nonni, casualmente, e non dagli operatori sociali? Quando questi, finalmente, mi informano, lo fanno a ridosso dello strappo e mi suggeriscono di cominciare ad allontanare da me il bimbo dentro casa. Insomma, il “pacco postale” era pronto per essere consegnato a una nuova famiglia, quella adottiva».
La valtellinese si è rivolta a un avvocato che la rappresentasse in questa sua manifestazione di malcontento per come è stata gestita la situazione da parte di assistente sociale e psicologa del Comune.
«La signora Scieghi e la sua famiglia - afferma l’avvocato Laura Chiara Penna del Foro di Milano - hanno garantito non solo assistenza materiale, ma anche e soprattutto la cura affettiva, creando, anche se per un periodo limitato, l’esclusività della relazione, oltre che la protezione in senso fisico e materiale e il sostegno emotivo consapevole, rispondendo al bimbo, quando aveva paura o manifestava emozioni negative. Proprio per l’importanza di questa fase nella crescita emotiva del bambino, anche se piccolissimo, la mia assistita sostiene, a ragione, che sia mancata la gradualità e l’accompagnamento dalla sua famiglia ponte a quella adottiva».
La risposta
La responsabile del Servizio interventi sociali dell’Ufficio di Piano di Sondrio, invece, respinge le osservazioni critiche.
«Confermo, anche a seguito della verifica della documentazione agli atti - afferma infatti la dottoressa Barbara Negri replicando al legale - e del confronto con il servizio Affidi, che il progetto di Pronta Accoglienza al quale la signora Scieghi e il marito hanno prestato la loro disponibilità, sottoscrivendo specifico accordo, ha previsto e garantito, lungo tutta la durata dello stesso e alla sua conclusione, una molteplicità di interventi di accompagnamento e sostegno psico-socio-educativo a favore della famiglia affidataria, sia da parte degli operatori della Tutela Minori che da parte dello stesso Servizio Affidi».
«Si evidenzia aggiunge ancora Negri -che la tempistica del decreto dell’autorità giudiziaria minorile e dell’avvio del collocamento pre-adottivo del bambino sono stati definiti dal Tribunale stesso. A nome del Servizio, esprimo il dispiacere per la sofferenza che la conclusione del progetto di affido (già peraltro prevista dal progetto stesso) possa avere generato nella signora e nella sua famiglia, riconoscendo il prezioso contributo che la stessa ha offerto nel periodo di affido del bambino».
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