Fossili al Parco delle Orobie, i reperti si potranno vedere il 20 novembre

Saranno visibili le testimonianze di vita che risalgono a 280 milioni di fa

Si apprestano a diventare patrimonio comune alcuni dei reperti che provengono dal sito paleontologico recente venuto alla luce in seguito allo scioglimento dei ghiacciai in Val d’Ambria sul territorio comunale di Piateda, in un’area a tremila metri di quota all’interno del Parco delle Orobie.

I ritrovamenti si potranno vedere di persona - è previsto anche un collegamento in diretta live online - il 20 novembre nell’ambito dei “Mercoledì del Parco” nella sede dell’ente presieduto da Doriano Codega in località Moia ad Albosaggia.

Al tavolo dei relatori, insieme al presidente Codega e al direttore Massimo Merati, ci sarà Cristiano Dal Sasso, paleontologo dei vertebrati del Museo di storia naturale di Milano, dove mercoledì è stata resa pubblica la sensazionale notizia che testimonia presenze di vita che risalgono a 280 milioni di fa.

Al suo fianco Ausonio Ronchi, professore di Stratigrafia e geologia regionale dell’università di Pavia e Lorenzo Marchetti, icnologo dei vertebrati del Museum für Naturkunde - Leibniz Institute for Research on Evolution and Biodiversity di Berlino. Una serata che darà l’opportunità di conoscere i particolari dell’importantissima scoperta paleontologica, comprendere un’era così lontana ed osservare dal vivo i reperti ritrovati.

Su massi stratificati grandi anche qualche metro si potranno vedere orme di tetrapodi (rettili e anfibi) e invertebrati (insetti, artropodi), in alcuni casi ancora allineate a formare “piste”, ovvero camminate che avvennero nel Permiano, l’ultimo periodo dell’era paleozoica. «A quell’epoca i dinosauri non esistevano ancora, ma gli autori delle orme più grandi ritrovate dovevano avere dimensioni comunque ragguardevoli: fino a 2-3 metri di lunghezza» afferma in una nota Dal Sasso. Inoltre in questo nuovo sito, su alcune superfici si sono fossilizzate orme di almeno cinque diverse specie di animali (trattandosi di tracce e non scheletri, è più corretto parlare di icnospecie, nda), il che permetterà di effettuare accurate ricostruzioni paleoecologiche. «Le impronte sono state impresse quando queste arenarie e argilliti erano ancora sabbie e fanghi intrisi di acqua, ai margini di fiumi e laghi che periodicamente, secondo le stagioni, si prosciugavano» precisa Ausonio Ronchi.

«Il sole estivo, seccando quelle superfici, le indurì al punto tale che il ritorno di nuova acqua non cancellava le orme ma, anzi, le ricopriva di nuova argilla formando uno strato protettivo» aggiunge. «La grana finissima dei sedimenti, ora pietrificati, ha permesso la conservazione di dettagli talvolta impressionanti, come le impronte dei polpastrelli e della pelle del ventre di alcuni animali - sottolinea Marchetti - Forma e dimensioni delle tracce indicano una qualità di preservazione e una paleo-biodiversità notevole, probabilmente anche superiore a quella osservata in altri giacimenti della medesima età geologica nel settore orobico e bresciano».

L’incontro sarà trasmesso anche in diretta streaming sul canale YouTube del Parco al link https://www.youtube.com/live/oalMwq0GSrI.

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