Cronaca / Sondrio e cintura
Mercoledì 05 Maggio 2021
Analisi Istat
Il Covid ci ha rubato
due anni di vita
n provincia di Sondrio l’aspettativa scesa a 78 anni per gli uomini e 83,9 per le donne, come nel 2013
I dati Istat non mentono e ci consegnano un bilancio demografico per il 2020, nero che più nero non si può.
Il focus è sull’aspettativa di vita in anni, che riporta, addirittura, a valori analoghi a quelli del 2012, con un calo della speranza di vita, in Lombardia, di 2 anni e 6 mesi per gli uomini e di 2 anni per le donne. In pratica, a livello lombardo, l’aspettativa di vita scende a 78,9 anni per gli uomini e a 83,9 per le donne, dati che, declinati sulla provincia di Sondrio, si traducono in 78 anni per gli uomini (due anni di speranza di vita in meno) e in 83,3 anni per le donne (1,8 anni di speranza di vita in meno). Il tutto su un totale di decessi pari a 2.600 in un anno, nel 2020, il 27,3% in più sul 2019, con un eccesso di mortalità del 19,9% su quella riscontrata durante l’anno esaminato.
Il quadro regionale
E i dati in negativo non sono neppure i peggiori registrati in Lombardia, in termini di variazione sul 2019. Per quanto riguarda gli uomini, i nostri due anni di vita in meno, fanno il paio con i 4,5 registrati a Lodi e Cremona, e con i 4,3 di Bergamo, e, meglio di noi, fanno solo Mantova e Monza Brianza, con 1,7 anni di vita in meno, e Varese con 1,8. Anche se, in senso assoluto, la nostra aspettativa di vita è inferiore alla media regionale, pari a 78,9 anni. Per quanto riguarda le donne, peggio di noi fanno cinque province, Bergamo, Lodi, Cremona, Brescia e Pavia, mentre, tutte le altre, vedono diminuire meno l’aspettativa di vita, con il minor calo registrato a Como, 1,3 anni.
«Per avere un quadro più completo occorrerebbe leggere gli scostamenti negli ultimi dieci anni - precisa Guglielmo Giumelli, sociologo, docente di Sociologia generale e sociologia del diritto all’università Milano-Bicocca e membro dell’Osservatorio sull’invecchiamento della popolazione -, anche se è palese l’effetto del Covid e dell’ulteriore isolamento che ha prodotto nella fascia più anziana e fragile della popolazione».
«Perché non solo l’infezione da Covid, per quanto impattante, ha prodotto tante morti, ma anche le restrizioni che ha comportato e che hanno spinto quella fetta più fragile di persone ad isolarsi ancora di più - afferma - La mancanza di confronto produce una perdita di stimoli, di vitalità, che si ripercuote sulla sfera fisica e psichica della persona, compromettendone l’equilibrio».
Proprio il punto su cui, secondo Giumelli, vale la pena di concentrarsi ora nel tentativo di recuperare il terreno perso. «Se avessimo potuto contare su una rete territoriale più solida, forse, dico forse, perché l’impatto del Covid è stato micidiale, avremmo potuto risparmiare alcune vite - dice Giumelli -. Per questo, ora, dobbiamo lavorare a farci trovare pronti, reattivi, per il futuro. Dobbiamo implementare la rete territoriale dei servizi socio -assistenziali nel tentativo di mantenere il più possibile nel proprio habitat gli anziani».
«Convengo, quindi, sull’impostazione di fondo del Piano nazionale riforme e resilienza, presentato a Bruxelles - aggiunge - laddove si investe meno sulle strutture residenziali e più sull’Assistenza domiciliare integrata. Anche se non basta. Perché l’Adi garantisce servizi socio-sanitari, invece noi dobbiamo puntare sugli aspetti socio-assistenziali, sul favorire la socialità, allestendo luoghi di ritrovo, garantendo pasti a domicilio e una rete di assistenza territoriale diffusa e qualificata».
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