Cronaca / Sondrio e cintura
Martedì 22 Maggio 2018
«Altro che sito Unesco, in questa valle ci sono troppi ecomostri»
ll soprintendente della Lombardia Occidentale: «Se alcuni centri storici sono migliorati, altre località hanno fatto scempi».
Non vive in Valtellina, ma con questa terra ha un legame profondo. Profondo come le radici della sua famiglia che - per parte di madre - è originaria proprio di Sondrio. Il suo giudizio non nasce da un colpo d’occhio, quindi, ma da uno sguardo sulla valle lungo, si può dire, una vita.
Luca Rinaldi, architetto, 60 anni, da più di un anno è soprintendente per l’Archeologia, le Belle Arti e il Paesaggio della Lombardia Occidentale. Ha diretto le Soprintendenze di Brescia, Trieste, Torino e Genova prima di approdare a Milano. Ma è stato anche alla fine degli anni Novanta funzionario a Sondrio.
Come trova questa Valle? E soprattutto: quanto è cambiata negli anni?
Tornando spesso alla casa dei nonni ho visto passo passo le trasformazioni del territorio.Il paesaggio è cambiato, generalmente in peggio, specie nel fondovalle. Trovo più cura per i centri storici, almeno quelli maggiori, e più attenzione per i monumenti.
In particolare cosa la colpisce negativamente?
Le valli hanno subito già dagli anni Sessanta una profonda trasformazione economica, non accompagnata ad un rispetto del territorio. Allora si sono rovinati centri storici come Sondrio e Chiavenna con edifici del tutto fuori scala, ed alcune località montane, come Aprica e Madesimo, sono state trasformate in congestionate periferie cittadine. Il problema è che si è poi continuato. L’immagine emblematica della Valle è ora la fila ininterrotta di capannoni, spesso vuoti, che, con poche soluzioni di continuità, va da Colico a Tirano, come se ci si trovasse in un appendice della Brianza. Altro che sito Unesco dei terrazzamenti del vino… E che dire delle nuove infrastrutture territoriali come la variante alla 36, con le alte massicciate, ponti e viadotti che oggi visibilmente feriscono il territorio. E dire che rispetto al progetto iniziale l’impatto è già stato ridotto…
Ma la Soprintendenza poteva intervenire?
Il territorio sottoposto a tutela in realtà non è molto. E dove lo è, malgrado i nostri uffici vengono visti come un ostacolo, si è stati spesso scavalcati. Penso ai Mondiali di Santa Caterina del 2005, che ci hanno lasciato dei veri e propri ecomostri, come il ponte sul Frodolfo e il megaparcheggio. Se talvolta l’azione di chi mi ha preceduto è stata sin troppo blanda e conciliante, come a mio avviso appunto per la variante della 36, non è infatti detto che dove si è tenuta una posizione rigorosa e coerente si siano ottenuti sempre risultati. Il blocco della Vallaccia a Livigno è stato ottenuto da Legambiente, mentre nell’intrico delle dispute giuridiche il nostro limpido e ribadito diniego all’operazione è stato messo da parte, a differenza di quello che è successo pochi mesi fa per la variante alla Tremezzina sul Lago.
La gente comprende poco di queste dispute e - inutile negarlo - siete visti come il fumo negli occhi...
I cittadini sono generalmente disinformati. Vengono loro presentati mirabolanti interventi come modelli di sviluppo e modernità, in realtà basati su progetti approssimativi, finanziariamente insostenibili e ambientalmente spesso devastanti. Dopo che l’iter rallenta o si blocca, magari senza nemmeno che sia intervenuta la Soprintendenza, allora si rumoreggia contro la burocrazia opprimente. Più però che per le grandi opere, la cui necessità è condivisa, sono gli interventi di trasformazione medio-piccoli che destano grande preoccupazione. Penso ad esempio agli insediamenti in quota, agli alpeggi, e dovunque arriva una strada appena sterrata. Qui succede di tutto. I pericoli arrivano generalmente dai Comuni più piccoli. Se dovessi mostrare tutto quello che ci viene proposto, avallato dalle locali commissioni del paesaggio comunali, e magari dalla Regione, ci sarebbe da impallidire…
La critica quindi va rivolta ai professionisti e alle amministrazioni locali?
Non faccio critiche. Constato che si predilige ancora un certo modello di sviluppo, fortemente orientato allo sfruttamento del territorio, senza coscienza del consumo di un bene deperibile e irriproducibile come il paesaggio. Il caso della violenta trasformazione di Livigno negli ultimi decenni secondo me è esemplare. I professionisti contano poco. Ne conosco tanti in valle, sensibili e amanti della conservazione del carattere dei luoghi, come si fa nelle regioni alpine evolute, ma essi incidono assai poco sulla qualità generale dei progetti, specie nei piccoli centri e nelle aree rurali.
Servono norme più rigide?
Basterebbe da parte della Regione il varo del Piano paesistico, atteso da oltre trent’anni, ma l’impressione è che non si voglia procedere per non scontentare gli elettorati locali, indicando nella Soprintendenza statale il ruolo del gendarme odioso. Un peccato, perché qui vi sono luoghi ancora molto belli, e non solo nelle valli laterali, con un buon equilibrio tra sviluppo e difesa dei valori ambientali e culturali. Tra gli esempi citerei Bormio dove, malgrado la esagerata espansione edilizia del passato, si rilancia il centro storico e si fanno rivivere le terme, segni di un turismo alternativo e sostenibile, legato naturalmente all’ambiente e alla valorizzazione delle risorse enogastronomiche, rispetto alle villette e alla monocultura dello sci.
Quali sono gli interventi più significativi in corso o che si sono appena conclusi?
Tra i molti direi Palazzo Malacrida e il San Giovanni di Morbegno, con il Ligari restaurato. Poi Castel Masegra a Sondrio, anche se in questo caso, per gli spazi a disposizione, avrei ritenuto più logico trasformarlo in un museo d’arte. Importanti lavori ministeriali stanno per partire a Palazzo Besta di Teglio, e costante è il sostegno ai musei archeologici locali, come quello da poco inaugurato a Chiavenna. Il nostro ufficio interverrà sulla vecchia parrocchiale di Chiesa Valmalenco. Ma l’elenco degli interventi in corso o programmati sarebbe lungo…
Nell’ottobre scorso il prefetto di Sondrio le ha consegnato una benemerenza legata al lavoro svolto durante l’alluvione del 1987 dalla Soprintendenza. Proprio in questi giorni il suo ufficio è stato determinante per il trasloco delle opere dal santuario di Gallivaggio, minacciato dalla frana. Come si sente di definire il ruolo che riveste in valle la tutela dei beni culturali?
Fondamentale, ed è qui che si sono avuti i segnali più positivi, specie dopo l’alluvione del 1987 e i successivi restauri coordinati dalla Soprintendenza. La vigorosa azione delle Società storiche, la competenza dei molti professionisti ed operatori del settore, la rete ormai fitta dei musei, i recuperi dei monumenti anche minori e una pubblicistica sempre più specializzata dimostrano anche rispetto ad altre aree regionali la grande vitalità culturale del territorio, e additano una strada virtuosa secondo me da perseguire.
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