Alluvione a Valencia, la testimonianza di un fotoreporter sondriese: «Un vero incubo»

L’acqua che invade le strade, i detriti che bloccano la carreggiata e fango, tanto fango, ovunque. Sono senza dubbio scene raccapriccianti quelle che ha davanti agli occhi in questi giorni Paolo Manzi, classe 1979, originario di Sondrio e residente nei sobborghi di Valencia nei mesi autunnali e invernali. Testimone dell’alluvione che sta tormentando la Spagna, con un numero impressionante di morti e di feriti, il valtellinese ha proseguito, seppur in maniera differente dal solito, la sua professione di fotoreporter. Dalla realizzazione di scatti naturalistici è passato - suo malgrado - a documentare i disastri ambientali provocati dal cambiamento climatico. In queste ore la drammatica testimonianza di Manzi ha fatto il giro del web ed è stata rilanciata dalle principali testate nazionali, Tg1 in primis. Sono decisamente giorni da incubo quelli che sta vivendo il fotoreporter di Sondrio, dov’è cresciuto - come racconta sul proprio portale web - fino all’età di 25 anni.

«Ventidue ore a fuggire dall’acqua che saliva inesorabilmente, era ovunque, ci circondava. Ventidue ore per riuscire a non restare intrappolato nelle strade trasformate in torrenti dalla furia devastatrice del fiume Turia», secondo il racconto raccolto dall’Ansa. «Ero in un centro commerciale vicino ad Bonaire - racconta Manzi - dove mi ero rifugiato, visto che le strade per l’aeroporto di Valencia erano state chiuse per impraticabilità. All’improvviso è saltata la luce e da lì è successo il finimondo». Troppo tardi cominciano ad arrivare sui telefonini gli alert che segnalano l’emergenza meteo, visto che «c’era già l’onda di piena». Non solo: infatti, «nonostante tutto, la direzione del centro commerciale ha invitato tutti ad uscire anziché metterci in sicurezza ai piani superiori. Inoltre l’unica via di fuga era verso il fiume, che ormai stava per rompere gli argini e allagare le strade».

Tutto questo appare per noi come un film dell’orrore. Figurarsi per Manzi che ha vissuto da vicino tale realtà. «C’era acqua dappertutto, ho visto auto travolte, alberi divelti, gente disperata», racconta. Ciò che è emerso dall’alluvione, poi, non è solo il lato triste della natura, che il fotoreporter sondriese è solito fotografare. Accanto alla distruzione, infatti, già si sono visti «tantissimi atti di sciacallaggio, scene da day after con vetrine spaccate e negozi depredati, persino auto ripulite dai ladri».

Due sere fa, Manzi è riuscito a mettersi in salvo nel parcheggio del centro commerciale in cui si trovava «Ero al sicuro - dice - perché ho un suv e l’acqua ha ricoperto solo le ruote ma le utilitarie galleggiavano, ho visto auto letteralmente annegare». L’altra mattina, poi, il ritorno a casa in mezzo alla desolazione, alla ricerca «dell’unico ponte ancora in piedi, a Vilamarxant. Un vero incubo, ma almeno sono sano e salvo», conferma.

Ora il fotoreporter si trova a Illiria, vicino Valencia, la sua dimora spagnola. «Qui non è successo nulla, è tutto a posto ma in una notte ho visto la devastazione, un vero disastro», confida. Un disastro, appunto, che per Manzi si configura come déjà vu. «Mi ricordo da bambino - le sue parole nell’intervista alla Tgr Lombardia - l’alluvione del 1987 in Valtellina: tanto fango, tanti detriti. E qui è uguale».

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