Tragedia di Delebio. «Sembrava il Far West. Dovrò essere operato all’occhio destro»

Gli spari di martedì: Biocca è stato dimesso ma un pallino conficcato gli impedisce di vedere bene. «È stato terrificante, avrebbe potuto essere una strage»

Delebio

«Sono stati momenti concitati. Sembrava il Far West. E ora sono in attesa che mi dicano dove dovrò essere operato all’occhio destro, nelle cui immediate vicinanze si è conficcato un pallino di una delle fucilate di Francesco Petrone che mi impedisce di vedere in modo chiaro, in maniera nitida, come in passato. Non vorrei perdere l’uso di un occhio».

«Prima di essere dimesso, attorno alle 16 di giovedì, dall’ospedale Moriggia Pelascini di Gravedona, mi hanno sottoposto a un’ecografia, poi trasmessa a uno specialista di oculistica dell’ospedale Valduce di Como per una valutazione precisa della situazione.

Si dovrà decidere dove dovrò farmi sottoporre a intervento chirurgico; magari mi dicono che dovrò farlo a Gravedona, parrebbe non sia stata lesionata la retina, ma c’è un pallino che mi impedisce di vedere bene e va rimosso al più presto, con tutte le cautele del caso: la posizione è assai delicata. Altrimenti sarei costretto a convivere con un fastidio, nella vista, permanente e dannoso. Intanto lunedì devo ritornare in ospedale per nuovi esami».

Massimo Biocca, 50 anni, una volta residente a Regoledo e da qualche tempo trasferitosi a Piantedo, vicino al suo amico artigiano Italo Acquistapace, 53 anni, quest’ultimo gravemente ferito alla testa dal novantenne Francesco Petrone, martedì pomeriggio a Delebio, prima di suicidarsi con un colpo di pistola Beretta calibro 7,65 alla nuca, è ritornato finalmente a casa dopo tre giorni di ricovero e ripercorre quelle drammatiche sequenze.

«Quel pomeriggio - ricorda Biocca - ero anche io in cantiere a lavorare: è da circa due anni che, quando possiamo, operiamo alla ristrutturazione del suo edificio, ormai quasi completata».

«Mancano solo le mansarde e il piano terra, il resto è fatto: alcuni alloggi, infatti, sono già occupati da famiglie in affitto. Italo era su una scala a un’altezza da terra di circa un metro con in mano un demolitore (trapano). Dava le spalle anche a me. E io vicino a lui, ma sul piano. A un certo punto ho sentito uno scoppio, come fosse una lampadina saltata. Ho pensato a faretti o lampade, ma in quel luogo non ce n’erano.

Pochi secondi e mentre pensavo a quello strano scoppiettio, sono stato investito da una raffica di schegge alle braccia, alla testa, alla gamba. E ho esclamato: “Italo cosa fai ?”. Neanche il tempo di fare la domanda che c’è stato un altro colpo. E ancora appariva il rumore di una lampadina rotta. Non era così.

Ho notato il sangue a terra e Italo, nel frattempo sceso dalla scala sanguinante, che gridava con davanti a sè lo sparatore: “Ma cosa stai facendo, fermati”, all’indirizzo del Petrone. Io, invece, ho cominciato a urlare: “Non ci vedo più, non ci vedo più”. E’ stato davvero terrificante».

L’imbianchino Biocca, a diversi giorni dal grave fatto di sangue, confessa di non essersi ancora ripreso: «Fatico a dormire, il sonno è ancora agitato. Ma una cosa va detta senza tema di smentite: nella sfortuna ci è andata ancora di lusso. Avrebbe potuto essere una strage.

C’era, infatti, il figlio Loris e poco prima anche l’altra figlia diciottenne di Italo. Quel pensionato non avrebbe dovuto avere a disposizione tutte quelle armi, i famigliari non avrebbero dovuto lasciargliele tenere. I parenti stretti avrebbero dovuto informare i carabinieri affinchè gliele ritirassero, in relazione anche ai suoi ripetuti atteggiamenti di ostilità nei confronti di chi lavorava nel cantiere. Quel pomeriggio, a mio parere, ha commesso un atto premeditato. Ha aspettato il momento giusto per fare fuoco.

Fucile e pistola carichi, lui vestito della festa: probabilmente aveva programmato di concludere così la sua esistenza, subito dopo avere commesso una strage nel cortile di vicolo Monticelli».

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