Cronaca / Morbegno e bassa valle
Martedì 09 Gennaio 2018
Statale al capolinea. I timori dei sindacati
La chiusura del cantiere della 38 porta con sé 107 licenziamenti e da ieri anche trasferimenti a Roma. Preoccupazione per il futuro della Cossi: «Assistiamo a una certa mancanza di chiarezza e comunicazioni».
Le previsioni parlano chiaro: è stato l’ultimo anno di code a Morbegno per il rientro dalle piste. Ma con la notizia - positiva - della chiusura del cantiere della variante, oltre alla fine dell’attraversamento al rallentatore della città del Bitto ci sarà anche il licenziamento dei lavoratori che hanno partecipato alla realizzazione delle opere da Cosio allo svincolo del Tartano.
In ottobre i sindacati delle costruzioni avevano convocato una conferenza stampa per sottolineare che questa situazione porta con sé anche la conclusione del rapporto di lavoro per 107 dipendenti della Cossi, di cui 13 a tempo determinato, con 18 impiegati.
A novembre avevano dato notizia dell’arrivo - come programmato - delle prime lettere di licenziamento. Non si tratta, nel complesso, di una vicenda imprevista, perché il taglio del nastro di un’infrastruttura importante, in edilizia, può determinare un epilogo di questo tipo. Ma i timori dei sindacati - che li hanno espressi proprio nei giorni scorsi - ora riguardano anche il resto dell’impresa che fa capo al gruppo Condotte. «Alcuni dei circa venti dipendenti degli uffici - non sappiamo con precisione quanti - hanno ricevuto una lettera dalla società per il trasferimento a Roma da lunedì - spiega Roberto Caruso dalla Fillea Cgil, attivo nella gestione di questa delicata situazione con i colleghi Rossano Ricchini della Cisl e Gianluca Callina della Uil -. Non conosciamo né i dettagli, né le conseguenze di questo provvedimento. Assistiamo a una certa mancanza di chiarezza e comunicazioni sul futuro della presenza di quest’azienda, storica e importantissima, in provincia di Sondrio, una vicenda che ci preoccupa».
Come rilevano le organizzazioni sindacali, si tratta soltanto della punta dell’iceberg di una crisi ormai decennale. Secondo i dati forniti negli ultimi mesi del 2017 da Filca-Cisl, Feneal-Uil e Fillea-Cgil, in Valtellina sono scomparsi il 40% dei posti del settore, scendendo a 2.750 lavoratori. Un impatto particolare è stato registrato sul fronte dell’occupazione di stranieri.
Come noto, il modello economico italiano - a differenza di quanto accade in altri Paesi dell’Unione europea - prevede l’utilizzo di manodopera proveniente dall’Europa orientale e dai Paesi a forte pressione migratoria soprattutto in settori come le costruzioni per i maschi e la cura delle persone per le femmine. La crisi dell’edilizia ha determinato una notevole riduzione di questi posti, anche perché i migranti sono spesso soggetti deboli sia per variabili legate alle competenze sia per altre ragioni. Nel 2014 gli operai stranieri iscritti in Cassa edile erano 530, nel 2017 506. «Ma in passato si era arrivati a quota 700 - ricorda Caruso -. Non è facile conoscere le traiettorie migratorie di queste persone. Alcuni si sono spostati verso altre province d’Italia, altri hanno fatto ritorno al proprio Paese d’origine».
Nello scorso mese di dicembre gli edili sono scesi in piazza, in varie città d’Italia, per chiedere il rinnovo del contratto collettivo nazionale. Una trattativa alla quale è legata la firma dell’integrativo territoriale.
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