Cronaca / Morbegno e bassa valle
Lunedì 04 Luglio 2016
«Questo è franchising del terrore»
Simone Benazzo rileva quanto la vicenda valtellinese sia frutto della palese debolezza del Califfato. «Più perde terreno più incentiva la diffusione di atti violenti e la creazione di liste di nemici da mandare a morte».
«L’Isis sta perdendo terreno e deve puntare sul franchising del terrore». Le minacce dell’Isis arrivano anche in Valtellina e per interpretare questa vicenda è interessante il parere di Simone Benazzo. Nato nel 1991 e residente a Regoledo, frazione di Cosio Valtellino, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Internazionali con una tesi sull’Islam in Europa a Torino e ora studia al Collegio d’Europa a Varsavia. L’Islam è uno degli argomenti di cui scrive sul sito East Journal, quotidiano online d’informazione su politica, cultura e società dell’Europa centro-orientale e del Vicino oriente. Un impegno che gli è costato, nei mesi scorsi, l’inserimento nella blacklist dell’Azerbaigian.
Se l’utilizzo della parola “terrore” non è fonte di sorpresa, potrebbe sembrare decisamente meno usuale l’uso del termine franchising. Come noto, si tratta una formula di collaborazione tra imprenditori per la produzione o distribuzione di servizi e beni, affiliandosi a un marchio famoso. Un po’ come avviene nel campo della moda, insomma. Ma stavolta c’è di mezzo lo Stato Islamico: «L’Isis diffonde la propria presenza grazie a soggetti che distribuiscono i propri messaggi lontano dal centro del Califfato, ad esempio nelle periferie europee», premette Benazzo. Gli obiettivi da colpire, infatti, sono vari e distanti. Una chiara dimostrazione è arrivata nei giorni scorsi quando nell’ultima blacklist di nemici da eliminare sono finiti ventitré italiani, compreso un cittadino di Berbenno, ma i nomi sono molti di più. Migliaia in tutto i mondo. Cittadini che, per lo più, non soltanto non hanno alcun legame con il mondo del terrorismo, ma spesso neanche con quello dell’esercito o delle forze dell’ordine. Il loro nome però figura in qualche database nel quale i pirati informatici sono riusciti a penetrare e questo basta e avanza per entrare nel novero dei nemici mortali del Califfato, mentre il Califfato continua a perdere territori.
«Oggi allo Stato islamico fa comodo offrire il proprio copyright del terrore», spiega Benazzo. Lo garantisce anche a dei balordi o a degli psicolabili, sono utilissimi. «A volte è sufficiente appropriarsi di ogni atto criminale, meglio se particolarmente cruento, possibilmente riconducibile all’Isis che in questo periodo è in una condizione di estrema difficoltà».
Il grossolano metodo con cui sono compilati gli elenchi delle persone non alleggerisce il peso di una minaccia che, anche alla luce dei fatti di Istanbul, gli addetti alla sicurezza nazionale prendono comunque sul serio. Gli uomini della Digos della Questura del capoluogo, pur non facendo trapelare alcuna informazione, hanno avviato una serie di accertamenti e di verifiche sulla posizione dell’obiettivo valtellinese. «Il potere, che l’Isis prova a far credere di avere, dipende dalla quantità di paura che diffonde. Le conseguenze sono il reclutamento di nuovi uomini e donne, soprattutto in contesti marginali a livello sociale, attraverso la comunicazione di una forza rilevante».
A Benazzo, che ha tenuto nelle scorse settimane due conferenze su “L’Islam e noi” insieme al Comune di Cosio Valtellino e all’Arci di Chiavenna, si può chiedere anche un parere sul rapporto fra islamismo e violenza. «La produzione mediatica contemporanea propone una visione dell’Islam come religione violenta da sempre. La realtà è ben diversa. Coloro che, all’interno del mondo musulmano, 1,6 miliardi di persone, vogliono puntare sul Jiahd sono una piccolissima minoranza. Ed è un fenomeno contemporaneo, che ha origine dagli anni Settanta in Medio Oriente e non ha precedenti nella storia né giustificazioni nel Corano».
Mentre l’avversione a vari elementi della modernità che non trovano spazio nei sistemi culturali animati dalla sharia è nota, l’utilizzo dei più moderni ed efficaci strumenti di comunicazione digitale è sempre più diffusa. «Prendono quello che è utile dalla postmodernità per fare i loro comodi. Basti pensare alla capacità di diffondere i propri messaggi tramite Twitter, Facebook e Youtube. Attraverso questi materiali, che spesso hanno una qualità tecnica molto elevata, cercano di accreditarsi come una potenza capace di arrivare dappertutto. E se in Europa si sovrappongono il mondo islamico e i terroristi, dicendo che tutti i musulmani sono potenzialmente pericolosi, non si fa altro che il loro gioco».
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