Cronaca / Morbegno e bassa valle
Domenica 03 Dicembre 2017
«È scattata la vergogna dell’abbandono»
La figura di Pontiggia analizzata daI criminologo Francesco Bruno: «Da subito poco credibile l’ipotesi dell’incidente mortale». «Si tratta del classico atto commesso da un uomo abbandonato, che non ha il coraggio di ritrovarsi da solo».
«La vergogna dell’abbandono può scatenare l’omicidio». Appare chiaro il punto di vista del criminologo Francesco Bruno sulla tragica vicenda di Cosio Valtellino. «In attesa dell’eventuale ritrovamento del cadavere della signora Svetlana Balica, si possono formulare alcune ipotesi sull’accaduto - spiega -. Personalmente, lo premetto, non do molta fiducia alle telecamere». Ma secondo Bruno, che affianca alla professione di medico e psichiatra l’attività l’esperienza di professore di criminologia e medicina forense all’università La Sapienza di Roma, c’è lo spazio per alcune valutazioni approfondite.
«Innanzitutto mi soffermerei sulla data. Stiamo parlando del 2 novembre, il giorno dei Morti». Un elemento importantissimo, considerata la chiusura dell’impresa della quale Nicola Pontiggia era dipendente. «Viene da pensare che il suicidio sia stato premeditato e organizzato già da tempo. L’idea che un lavoratore provetto finisse schiacciato sotto a un camion abbandonato in una posizione insicura è, inoltre, ben poco credibile. Difficilmente sarebbe potuto accadere. Appare quindi chiara la probabilità di un suicidio truccato in questo modo». Da queste prime riflessioni, si comprende la notevole attenzione riservata dagli addetti ai lavori, in tutto il Paese, a quello che da due giorni viene definito un omicidio-suicidio.
Togliersi la vita in vicende di questo tipo, secondo il criminologo, serve a coprire la vergogna. «Ma non la vergogna per l’omicidio: è quella dell’abbandono, del fatto che si potesse sapere che la moglie lo stesse lasciando». Non si tratta tanto una questione valoriale, legata al fatto di avere commesso un delitto atroce, quanto una conseguenza dell’inevitabile solitudine determinata dalla scelta di andarsene della partner e dell’incapacità di accettarla. «Si tratta del classico atto commesso da un uomo abbandonato, che non ha il coraggio di ritrovarsi da solo e vuole negare questa situazione. Questa soluzione può essere stata messa in campo sperando che nessuno sospettasse com’è andata, tentando di fare pensare che la morte fosse dovuta a un episodio casuale».
Ma la realtà, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, è ben diversa. Quella del tempo, secondo Bruno, è una variabile centrale. «Spesso gli uomini si suicidano quando si rendono conto che la partner non c’è più. Ma l’esperienza ci insegna che non sempre lo fanno immediatamente dopo l’omicidio. A volte trascorre qualche ora, qualche giorno dall’omicidio, il tempo necessario per capire ciò che hanno commesso».
Proprio ieri Bruno, noto per la partecipazione a trasmissioni televisive dedicate a quest’argomento, oltre che all’impegno accademico, era impegnato in un convegno dedicato alle violenze di genere. «Spesso si tratta del risultato di una grossa scomposizione delle capacità mentali del soggetto. In alcuni casi si manifesta per delle malattie abbastanza pronunciate. Dinamiche come questa fanno pensare ai casi abbastanza patologici. Purtroppo in Italia la psichiatria non si usa più per le vicende serie e non c’è la possibilità di capire se una persona che manifesta comportamenti problematici ha a che fare o meno con la malattia psichiatrica. Negli ultimi quarant’anni la situazione si è notevolmente complicata».
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