Cronaca / Morbegno e bassa valle
Giovedì 31 Agosto 2017
De Zaiacomo apre una nuova via in Madagascar
L’alpinista sondriese dei Ragni di Lecco protagonista con due compagni sullo Tsaranoro Atsimo. «È stata dura, sono serviti sette giorni per la vetta».
L’hanno battezzata “Vento forte” la nuova via di arrampicata aperta in Madagascar, tracciata dai tre Ragni di Lecco che avevano come capo spedizione Matteo De Zaiacomo, il 24enne arrampicatore di Sant’Anna.
“Rivotra Mahery”, in lingua malgascia, sulla famosa parete dello Tsaranoro Atsimo di 700 metri tra i 1200 e i 2000 metri di altitudine, con escursioni termiche da impazzire, in compagnia di Marco Maggioni e Dimitri Anghileri. Un sogno che De Zaiacomo stava inseguendo da tempo, che è riuscito a coronare tra il 21 luglio e il 16 agosto.
«La parete dello Tsaranoro Atsimo è una scalata molto simile alla parete in Val di Mello e ci intrigava. Un dubbio però l’avevamo – racconta il boulderista di Sant’Anna –: se tentare di aprire una nuova via o ripeterne un’altra già tracciata, perché la parete da oltre vent’anni era stata “sotto assedio” di nomi famosi, ed era difficile inventare qualcosa».
È stato Sean Villanueva, il fuoriclasse belga dell’arrampicata, a incoraggiare i tre assicurando loro che avrebbero potuto trovare spazio in parete per qualcosa di nuovo.
Aprire una via mai percorsa era ovviamente un’idea più solleticante che non una “ripetizione” e il 21 luglio i tre temerari sono partiti. «Abbiamo ragionato di non portare solamente corde, rinvii e moschettoni per ripetere la via – prosegue il suo racconto Matteo De Zaiacomo -, ma anche i tasselli, gli spit, il trapano (di Matteo Della Bordella; “usatelo con parsimonia” era stato il suo viatico)». «Il “vento forte”, invisibile compagno di quando eravamo in parete, ha battezzato questa nuova via - continua -. Tracciato costato un impegno notevole: abbiamo iniziato dalla base a salire, col trapano. Cinque o sei metri e si faceva il buco, col rischio di un volo di una decina di metri. In sicurezza fin quanto vogliamo, ma sempre in “concorrenza” con le aquile».
«Ovviamente non sei super veloce – sottolinea Matteo -, erano sempre 700 metri di parete, quindi nei punti più facili si andava spediti, anche 100 metri al giorno, altrimenti erano una quindicina a dir tanto. Alla fine abbiamo impiegato sette giorni per aprire tutta la via; ognuno a turno apriva il suo “tiro” e in tre ci siamo divisi al meglio le operazioni».
«Una volta in cima e comunicato a casa che avevamo tracciato la nostra via nuova, eravamo in realtà a metà del nostro lavoro - ammette sempre lo scalatore -. Dovevamo scalare “in libera”, che sarebbe stata la parte più divertente e importante di tutta l’avventura». Sette giorni ad aprirla e nove giorni a “liberarla”, togliere tutte le corde utilizzate, mentre sono rimasti solo gli spit, i chiodi a espansione piantati in parete. «In definitiva continui a scalare, con l’obbiettivo di arrivare a completare un’arrampicata in giornata, con l’unico pensiero di mettere in un angolino la paura che è sempre con te - la considerazione conclusiva dell’alpinista sondriese -. Ma sei gasatissimo e vai oltre. La parete ti regala emozioni che con il passare del tempo riesci a gestire e diventano bei ricordi».
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