"Io non salgo sul treno dei pazzi, lo guido", un'autobiografia dolorosa e un grido di speranza


Riportare alla luce gli episodi più dolorosi del proprio passato non è mai semplice, soprattutto quando si desidera ardentemente nasconderlo e dimenticarlo, per andare avanti. La verità , però, è che un dolore nascosto non scompare. Al contrario, continua a maturare nella parte più profonda dell’anima, fino a chiederci il conto, quando meno ce lo aspettiamo. Nel suo romanzo autobiografico , Sheyla Barca mette a nudo il suo vissuto, lascia che i fantasmi che hanno infestato il suo passato tornino in superficie e sceglie di affrontarli, una volta per tutte. “Io non salgo sul treno dei pazzi, lo guido” , pubblicato per la collana Chronos di Europa Edizioni , ci offre una visione cruda e toccante delle sue esperienze traumatiche. Tra queste pagine l’autrice si confessa e affronta temi gravi e complessi come la violenza sessuale, l’abuso di potere e l’omertà di una comunità chiusa.
Sheyla Barca racconta il terribile impatto degli abusi sulla sua vita, cominciati quando era soltanto una bambina, ad opera di un uomo molto più grande di lei, che definirà l’ Uomo Nero . Le sue parole, cariche di sofferenza, ci trasportano nel momento in cui la sua innocenza è stata brutalmente strappata via con l’inganno. Racconta di come sia riuscita a sfuggire al suo aguzzino, spinta dall’esasperazione a un passo dal compiere un gesto estremo , ma anche del lungo periodo di silenzio che ne è seguito. Questa esperienza drammatica, infatti, ha trasformato la bambina vivace e solare che era stata in una persona cupa e solitaria, incapace di comunicare persino con i propri genitori.
Il contesto in cui si consuma la tragedia è un ambiente dove l’ omertà copre le malefatte e che costringe Sheyla al silenzio e all’ isolamento . Per questo, ormai stanca di tenere tutto per sé, si assume la grande responsabilità di denunciare il suo carnefice e l’intera comunità, raccontando quante volte si sia sentita emarginata, attaccata e svilita in ogni aspetto della sua vita quotidiana. 
Con commozione e affetto sincero, l’autrice racconta che per larga parte della sua vita l’unica ancora di salvezza era stata la sua famiglia . Nonostante la difficoltà di aprirsi anche con loro, i suoi genitori non le hanno mai voltato le spalle, anche al costo di diventare, a loro volta, bersaglio della cattiveria della gente del paese. Il rapporto con la famiglia è tuttavia segnato dalla tragica separazione con il fratello: se prima era stata la vita a separarli, per via del lavoro di lui, Barca racconta che il vero dramma si è consumato quando le malelingue e i pregiudizi del paese hanno lacerato il loro legame. Nel tentativo di ricostruire i fatti, l’autrice riconduce questo e gli altri soprusi da lei vissuti a un’associazione locale che sembra controllare la comunità per raggiungere i propri interessi: è a causa loro, afferma l’autrice, se il fratello è stato manipolato fino alla rottura definitiva che ha devastato l’intera famiglia. 
L’autrice sceglie di dedicare ampio spazio al tema della salute mentale , confidando ai lettori le battaglie che ha combattuto contro la depressione e l’ anoressia . “Ho sperimentato una male che si chiama anoressia e di cui non si parla mai abbastanza, proprio a causa di questa maledetta vergogna che chiude le bocche e inaridisce i cuori. Dobbiamo smetterla di nascondere la verità, solo perché è scomoda, solo perché fa troppo male. L’anoressia, come tanti altri disturbi, è una realtà che fa parte della vita quotidiana di tante persone e come tale bisogna affrontarla. Tanto l’anoressia quanto la depressione sono state mie compagne di viaggio, delle compagne difficili da sopportare e che spesso mi hanno trascinato verso il fondo, ma adesso sono qui a parlarne, più forte e resistente che mai”, scrive in un passaggio tanto doloroso, quanto carico di speranza. La depressione e l’anoressia sono malattie silenziose e invisibili , che scorrono sottopelle senza che il mondo se ne renda conto. Per questo diventa ancora più difficile per chi ne è afflitto trovare comprensione e conforto. La terapia psicologica diventa per l’autrice una soluzione elettiva, grazie alla quale racconta di aver affrontato molte questioni personali, tali da donarle una visione nitida del mondo e di sé stessa. Alla luce di questi miglioramenti, del giovamento che sente di aver ottenuto, l’autrice invoca un cambiamento sistemico e chiede maggiori investimenti nell’ambito della salute mentale da parte delle istituzioni. Con il suo appello sottolinea la necessità di psicologi nelle scuole, nelle prigioni e per le vittime di violenza, fermamente convinta che la salute mentale sia fondamentale, tanto quanto quella fisica. 
La conseguenza di una vita segnata da tante vessazioni avrebbe potuto essere un rifiuto dell’ amore , oltre a una totale sfiducia nei confronti degli uomini. L’incontro con Alessandro, al contrario, rappresenta per lei un dono inaspettato della vita , arrivato al momento giusto. Sheyla e Alessandro si avvicinano in un momento di grande tormento per entrambi: lei reduce da anni di vessazioni e ingiustizie, mentre lui porta con sé un pesante bagaglio di sofferenze. Il loro legame si sviluppa attraverso messaggi e confidenze, animato dalla necessità di capirsi e supportarsi a vicenda. In Alessandro, Sheyla trova un alleato nella lotta contro le ingiustizie subite, così decidono di affrontare insieme le difficoltà, come una squadra, in cerca di un riscatto che permetta a entrambi di ricostruire una vita serena e dignitosa. 
Condividere la sua esperienza – l’autrice lo sottolinea sin dalle prime righe del libro – ha rappresentato uno sforzo considerevole, ma lei sa che farlo può contribuire a rompere il silenzio e l’omertà che spesso circondano le vittime di violenza. La sua attività di sensibilizzazione si rivolge soprattutto ai giovani, che ritiene particolarmente vulnerabili soprattutto nei contesti di provincia , dove i pregiudizi e le malelingue possono avere effetti devastanti sulla vita delle persone. Se infatti è sempre più difficile trovare dei luoghi di aggregazione sicuri, come anche accedere al supporto psicologico o individuare dei modelli sani ai quali ispirarsi, sono soprattutto i giovani a farne le spese, rischiando di rimanere sempre più isolati. In “Io non salgo sul treno dei pazzi, lo guido!” si concretizzano invece l’ importanza dell’ascolto e del supporto per riuscire ad emergere anche dalle situazioni più drammatiche e chiedere giustizia . L’impegno dell’autrice è volto a prevenire che altre persone possano subire ciò che lei ha vissuto, per questo si impegna a promuovere l’importanza di parlare e di denunciare. 
“Io non salgo sul treno dei pazzi, lo guido!” è un appello alla coscienza collettiva che ci costringe a guardare in faccia la realtà delle violenze e delle ingiustizie, che troppo spesso vengono nascoste sotto al tappeto della vergogna e dell’omertà. La testimonianza personale di Sheyla Barca è cruda e sincera , una confessione in cui non possiamo che sentirci coinvolti, intimamente legati alla sua sensibilità. Se il silenzio, infatti, è il peggiore complice degli abusi, parlare è il primo passo verso una libertà agognata e dolorosa, ma possibile. Tra confessioni e moti di denuncia, appelli e momenti di gioia liberatoria, Sheyla Barca ci tende la mano e ci infonde il coraggio per affrontare le nostre battaglie, per non lasciare che il silenzio prevalga mai sulla verità

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