"Ha ragione il mare", il racconto di un'estate straordinaria in cui tutto è possibile


L’ estate sa essere molto più di una stagione. È una forma del tempo che scorre in maniera diversa, che non torna, ma si imprime nella carne e nella memoria con la forza di ciò che è eterno. “Ha ragione il mare” , primo romanzo di Alessandro Gabbani per il Gruppo Albatros il Filo , comincia proprio così: come una porta socchiusa su un tempo che non appartiene più, ma che pulsa ancora sotto la pelle. Pisa, gli anni Ottanta, il caldo che sfibra le magliette, il sale sulla pelle che non si lava via, il rumore secco dei motorini che rimbalza tra i palazzi di periferia. E poi il mare, sempre il mare, una presenza viva che osserva e accompagna. 
È l’estate della maturità , ma anche della disfatta dell’infanzia. Si è ancora troppo giovani per essere uomini, ma troppo adulti per restare ragazzi. E in questo spazio sospeso, dove ogni giorno è il primo e l’ultimo, Gabbani fa muovere il suo protagonista senza nome, voce narrante di una generazione che voleva divorare la vita a morsi, senza accorgersi che stava ancora facendo crescere i denti. 
Il lettore scivola dentro la storia come in un bagno serale tra le onde e capisce subito che quella che sta per leggere non è la cronaca di un’estate qualunque, ma la ricostruzione di un tempo sacro : il tempo in cui si era certi che tutto fosse possibile, in cui il mare, più di chiunque altro, aveva sempre, inequivocabilmente, ragione.
Alessandro Gabbani riesce a creare un io narrante che è più grande del personaggio stesso: un ragazzo senza nome, senza mestiere, senza ancora una visione del mondo, eppure già capace di registrarne ogni tremito. È una voce testarda e fragile, orgogliosa e spaventata, sfrontata e inadeguata che non ha ancora scelto chi essere , ma che intanto osserva, annota, si sporca, cade, si rialza, ride.
Gabbani sa  trasformare l’ordinario in materia narrativa . La sua scrittura germoglia nelle pieghe del quotidiano ed è da lì che arriva la forza di questo io narrante: dalla strada, dal rumore dei flipper, dai tramonti sulla spiaggia libera, dagli occhi pieni di malinconia dei diciottenni che volevano diventare immortali.
Il protagonista di questo romanzo racconta il passato con la vertigine del presente che non è ancora finito. Ogni parola è una scheggia emotiva e ogni capitolo è un tentativo di trattenere ciò che già sta scivolando via. La verità di questo romanzo si costruisce soprattutto nella tensione interiore con cui i fatti vengono vissuti. È questo, forse, il segreto del libro: non l’epica di chi ha capito tutto, ma il realismo di chi sente troppo, troppo in fretta, troppo forte. E lo scrive, prima che sia tardi.
L’ amicizia è il fulcro attorno al quale ruota l’intera narrazione, nella sua forma più spontanea e disinteressata. I poli che definiscono questa costellazione affettiva sono Boris e Lorenzo: il primo, l’amico storico l’unico con cui non serve parlare perché ci si capisce già, il fratello eletto a forza di risate e sventure condivise. Lorenzo è invece il compagno di viaggio, quello con cui si costruisce una nuova quotidianità, un amico con cui ridere, improvvisare e dimenticare e con il quale, finalmente, reinventarsi. Il romanzo non teorizza sull’amicizia, la mostra. E lo fa nella sua forma più vera: fatta di sguardi, gesti minimi, silenzi condivisi, battute stupide che diventano linguaggi segreti. Perché l’amicizia, quando è autentica, si vive e si sente .
Le figure femminili del romanzo sono l’espressione del disorientamento esistenziale di un ragazzo che desidera senza sapere esattamente cosa, e che ama con l’intensità confusa tipica dell’età in cui si brucia tutto, troppo in fretta. Gabbani costruisce un racconto del desiderio fatto di esitazioni, fraintendimenti, ardori e ritrosie. Le donne del romanzo sono miraggi concreti che portano con sé ciascuna un’immagine diversa dell’amore e un grado diverso di inadeguatezza nel protagonista. Gabbani descrive l’incontro tra i corpi con pudore , lasciando spazio ai gesti minimi, alle esitazioni, ai momenti in cui il desiderio si intreccia all’insicurezza. La scrittura accompagna l’intimità con rispetto, osservando il modo in cui il protagonista si avvicina all’altro senza difese, con la consapevolezza incerta di chi sta imparando a conoscersi .
Questa estate ha anche un suo percorso, una geografia emotiva tracciata dalle esperienze. L’autore disegna una mappa interiore , mobile, quasi onirica, in cui ogni posto è carico del significato che il protagonista vi ha proiettato. Ci sono luoghi che si abitano per sentirsi parte di un gruppo, altri in cui ci si rifugia per smettere di esserlo. Ogni angolo diventa un’estensione dello stato d’animo, una risonanza del sentire. È in questo modo che il lettore ricostruisce la propria adolescenza: non attraverso l’esattezza delle ambientazioni, ma grazie alla potenza simbolica dei gesti e delle atmosfere .
La prosa di Gabbani si muove come un vinile graffiato che suona comunque la canzone giusta. Essenziale nella forma, ma densa di ritmo, di battute fulminanti, di impennate e cadute che seguono l’umore instabile dell’adolescenza. Ogni paragrafo sembra pronunciato più che scritto, come se il narratore stesse raccontando a voce alta, davanti a un bicchiere semivuoto, nel cuore di una notte estiva che non si decide a finire. I dialoghi hanno il tono sfrontato e tenero delle chiacchiere in un bar, quando si finge sicurezza per non mostrare quanto si ha paura di crescere . Il lessico è quotidiano e ogni parola sembra cercare la musicalità giusta, il ritmo che renda giustizia alla verità emotiva dei fatti narrati.
Gabbani padroneggia l’arte del sorriso, il tono è autoironico , partecipe, anche se talvolta  malinconico . L’iperbole convive con il pudore. Il lettore sente che dietro ogni eccesso verbale si nasconde una fragilità sincera, un bisogno disperato di raccontare tutto prima che svanisca. La scrittura, così, diventa uno strumento per imprimere la memoria nel tempo , con un sorriso che non sa se essere nostalgia o gratitudine.
La forza del romanzo sta nella sua capacità di raccontare l’ordinario come se fosse epico , di rendere memorabile il quotidiano. Ogni gesto, dettaglio o persino silenzio viene caricato di un’intensità che non nasce dall’eccezionalità dell’evento, ma dalla verità con cui viene vissuto. Potremmo definirla una vera e propria mitologia del quotidiano: trasforma la giovinezza in un territorio sacro, le sue esperienze minime in riti iniziatici. Il protagonista non salva il mondo, ma prova a salvarsi da sé stesso. E in questo tentativo, goffo e spontaneo, si riflettono tutti quelli che sono stati ragazzi, che hanno amato senza capire, riso senza motivo e sbagliato senza rimorso.
Allora si capisce che non era solo un’estate. Non era solo Pisa, né solo una spiaggia, né solo un motorino che grattava l’asfalto caldo. Era un tempo importantissimo, un viaggio interiore . Un momento in cui l’identità si formava tra una corsa in mare e una risata strozzata, tra una delusione che bruciava e un’amicizia che non avrebbe avuto bisogno di parole per esistere. "Ha ragione il mare" non si limita a raccontare: custodisce. E in questo custodire, restituisce al lettore qualcosa che forse aveva dimenticato.
Il romanzo di Gabbani è fatto di memorie e sensazioni risvegliate , riportate alla luce dopo essere state a lungo sepolte sotto la cenere del tempo. Lo si chiude con la sensazione che qualcosa ci sia stato restituito, non un passato, ma la sua eco. La prova che, da qualche parte, dentro di noi, è ancora vivo. Proprio come il mare: che non dice, non spiega, ma sa. E ha sempre, silenziosamente, ragione.

 

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