Perché se i vaccini segnano il passo, per una volta, non è colpa della Regione Lombardia (anche se qualcuno dovrebbe spiegarci perché nel Lazio stanno già trattando il personale scolastico e noi arranchiamo con gli over 80). E neppure del governo vecchio, naturalmente. Perché quello di Draghi, almeno per quanto attiene al premier, è nato senza neppure il peccato originale. Il problema questa volta, sta tutto nell’Unione europea. Che si era appena rifatta un po’ il trucco, sia pur giocoforza, con il Recovery fund che aveva messo il bavaglio a un po’ di sovranisti e determinato la conversione di Matteo Salvini sulla via di Bruxelles, ed ecco che, come la mitica signora Longari di Mike Bongiorno, mi cade. Non sul pisello ma sul vaccino. Se siamo in ritardo con le iniezioni e stiamo dando al virus la possibilità di riorganizzare le truppe e armare le varianti è perché l’Europa, che ha stipulato i contratti con le aziende, si è mossa in ritardo e, per quanto è dato a sapere, pure male, se è vero che i fornitori fanno il bello e il cattivo tempo sulle quantità da inoltrare che variano, chissà perché?, strada facendo.
Più volte, e anche su queste colonne, la campagna vaccinale, per la sua importanza fondamentale relativa al futuro dell’umanità, è stata paragonata allo sbarco in Normandia che pose fine alla follia criminale del nazismo di Hitler. Ebbene, l’idea che si insinua, è che se allora ci si fosse mossi come ora sulle vaccinazioni, forse oggi parleremmo tutti tedesco e marceremmo con il passo d’oca, perché si sarebbe dato il tempo alla Wermacht di riorganizzarsi. Con il Covid non sarà così. Si sa che prima o poi, se non altro per le leggi immutabili di Madre Natura, la nocività del virus cesserà e impareremo a farci addirittura amicizia. Ma nel frattempo, e ammesso poi che non compaia un altro nemico inesorabile per la nostra specie, quanto ci costerà in termini di vite, contagi, complicazioni sanitarie e ricadute economiche, il ritardo nella campagna vaccinale? Persino la Brexit, fino a ieri deprecata e bollata come un errore sciagurato del popolo britannico, viene rivalutata. Altro che perfida e isolata Albione. Lì le siringhe non conoscono requie e presto le tante restrizioni dovute all’autoctona variante sbarcata in forze anche dai, potrebbero allentarsi. E i sieri viaggiano a mille anche in America, che purtroppo questa volta non può venire a salvare l’Europa se non dopo averlo fatto con se stessa. Per non parlare di Israele che intravede già la luce dell’immunità di gregge fuori dal tunnel. Tutti paesi fuori dall’Unione Europea. E se i primi due hanno la fortuna di avere in casa chi produce il salvifico farmaco, il terzo ha dimostrato ancora una volta la grande efficacia della sua volontà di potenza senza la quale sarebbe già stato spazzato via. L’Europa invece va avanti piano. E non solo noi. Persino i tedeschi, la locomotiva continentale, viaggiano alla velocità di una Littorina. Pure gli spocchiosi francesi, sempre lì con la grandeur innestata hanno poco da fare i fenomeni.
Se perfino l’ex presidente della Commissione di Bruxelles, Romano Prodi, non certo sospettabile di euroscetticismo, segnala un’inefficienza nella fornitura dei vaccini, qualcosa di vero ci deve essere. Insomma sarebbe il caso di battere un colpo. Perché questi ritardi e indecisioni sul cruciale fronte sanitario, una volta incassati i quattrini del Recovery, potrebbero riarmare le spalle dei sovranisti e rimettere in crisi un modello che, in ogni caso, e al di là dei belletti, si fa fatica a riformare. Passata la festa, gabbato lo Santo è un motto italiano che a Bruxelles farebbero bene a tenere in considerazione. Se non si vuole tornare a trattare le dimensioni degli ortaggi, con il rischio di farseli tirare addosso.
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