E lo Stato dov’è? Lo slogan più amato dalla politica nazionale - tutta, ma solo quando è all’opposizione, naturalmente… - è riecheggiato nei giorni scorsi a corredo dell’ennesimo report disastroso sulla natalità nel nostro paese. Nessuno fa più figli, la società invecchia in maniera progressiva, i costi della sanità e della previdenza del prossimo ventennio sono già da ora insostenibili. E certo, ululano i nostri statisti rivoluzionari, dove sono gli asili nido? dove le detrazioni nelle buste paga? dove i bonus bebè? dove le agevolazioni per la casa, la scuola, i passeggini, lo sport, le vacanze studio, il tempo pieno, il distacco parentale e tutto il resto che farebbe tornare gli italiani a razzare come conigli mannari?
Ora, che le politiche per la natalità di certi Stati, Francia soprattutto, abbiano portato risultati notevoli è fuor di dubbio. Ma il punto non è questo. Il punto vero, quello dirimente e devastante, come è stato ricordato da Giuseppe De Rita sulla Stampa e da Michele Serra su Repubblica, è un altro. Il vero killer della natalità non è la miseria, ma il benessere. Appena una società esce nel suo complesso dal sistema circolare del bisogno, degli stenti, delle privazioni, nel quale invece da sempre abbondano le famiglie con pletore di pargoli - sono la loro unica ricchezza -, inizia subito a fare meno figli. E questo riguarda non solo gli autoctoni di pura razza padana, ma anche i pittoreschi mangiabanane con l’anello al naso. Ma guarda un po’…
I dati sono lì, impietosi, a dimostrarlo. Le classi sociali scompaiono, di gente che muore di fame non se ne vede più, si restringe in modo strutturale la miseria, che in Italia non c’è, alla faccia dei ridicoli dati sui dieci milioni di poveri, visto che è un bel mistero come mai in un tale Biafra i depositi bancari continuino a crescere e ci sia l’80% di case di proprietà e si sia ai primi posti al mondo per smartphone e prenotazioni di vacanze e non si trovino ragazzi disposti a lavorare nel weekend: non è che, per caso, esiste un gigantesco problema di nero e di economia sommersa e di rendita dei nonni e di sovvenzioni a pioggia clientelari, putacaso? Bene, nel momento in cui spariscono le ideologie, svaporano le appartenenze culturali, si sbriciolano modelli sociali consolidati comunitari e il loro posto viene preso da un enorme, indistinto, gassoso, deideologizzato e deculturizzato ceto medio, ecco, è lì che origina il crollo delle nascite.
Insomma, quando vince il modello del narcisismo di massa, della dittatura dell’io, dell’egolatria da social è ovvio che la presenza di un figlio diventa finalmente - viva la faccia - quella che è: una gran rottura di coglioni! E chi ne ha più voglia? E perché? E a che pro? E chi te lo fa fare? Abbiamo molto di meglio di cui occuparci nelle nostre convulse giornate, non è vero? La terrazzata con gli amici e l’aperitivo in riva che piace alla gente che piace e l’idromassaggio che con questo stress, signora mia, non si vive più e la palestra tre volte la settimana e la serie preferita e il cinemino tutto per noi e l’imperdibile riunione di lavoro per cogliere l’imperdibile occasione professionale. E vuoi mettere tutto il tempo necessario per comunicare quanto elettrizzante e smagliante e funambolizzante sia la tua vita ricca di mille stimoli ed emozioni? E come fai ad aver tempo per qualcos’altro quando passi le ore a tuittare e facebuccare e instagrammare all’universo mondo le iridescenti sfaccettature della tua inimitabile esistenza? Come fai a non dedicarti anima e corpo alle Storie di Facebook? Ma come, non starete a dire che non passate almeno il tempo equivalente a due poppate o tre cambi di pannolini a organizzare le vostre Storie su Facebook? Ma siete così indietro, così fuori dal mainstream e delle sue magnifiche sorti e progressive?
E tu che ridi e tu che saluti e tu che ti gusti un caffè sul lungolago che tutto il globo ci invidia e tu che te la spassi e tu che ammicchi e tu che cinguetti e pigoli e trilli e svolazzi e quanto sei in gamba e quanto sei capace e sagace e pugnace e poi bacini e cuoricini e gattini e cagnolini e fiorellini a tutta la corte dei miracoli così interessata ai tuoi destini, bella pronta a smielare, a melassare, a trombonare su quanto sei bravo e quanto sei impagabile e beato te che sei lì e beato te che vai là, ma dai, anche voi ragazzi non siete da meno e quanto siete carini e quanto siete in forma e quanto siete giovanili e tutto il resto di una sequela di fregnacce degne di un film dei Vanzina. Con un ulteriore tocco di grottesco, che se poi, per caso, vai a sbirciare nei profili ti accorgi che la realtà si prende subito le sue sanguinose rivincite. Altro che fitness e giovanilismo: una gran parata di cicciobombi, culoni siderali, cosce flaccide, glutei budinosi e panze e trippe e ventraglie e gobbe e varici e nasoni e fisici a pera e gambette rinsecchite e pelate incipienti e gente anziana con i tatuaggi, gente anziana con mojito e bandana, gente anziana che si fa il selfie con Tina Cipollari. Un occidente allo sbando.
Una roba da ridere. Una roba da piangere. Ma chi sei? Ma a chi scrivi? Ma perché a cinquant’anni ti devi coprire di ridicolo? E poi, a chi importa dei tuoi brindisi, dei tuoi party, dei tuoi weekend in Licia, in Dacia, in Tracia, in Cappadocia? A chi ? A chi? A nessuno, questa è la verità. Una frustrazione esistenziale apotropaica di purissima trama piccoloborghese che sarebbe piaciuta a Flaubert e che di certo gli avrebbe ispirato una Madame Bovary 2.0, un egotismo patetico che restringe gli orizzonti mentali e rinvia di continuo l’accettazione dell’età adulta e tutto ciò che questa comporta. Figli compresi. Ma chi li vuole, se questa è la nostra visione del mondo? Gli asili nido gratis non c’entrano. Li vorrà ancora chi ha fame e bisogno e feroce odio sociale, il più formidabile dei propulsori: saranno quelli a prendere il posto che gli spetta e a mandare in pensione una società - e una civiltà - che non ha più niente da dire a nessuno.
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