La forza del capo del governo, oltre che dall’andamento favorevole della lotta contro la pandemia, deriva dalla convinzione di non avere alternative credibili, soprattutto nei confronti di quell’Europa che deve sganciare i fondi per il Pnrr, e di godere del pieno sostegno del capo dello Stato che lo ha scelto per l’incarico che ricopre dopo il caotico stallo seguito alle dimissioni del governo Conte due. Non è la prima volta che il Colle si sovrappone alla volontà del Parlamento o di una parte significativa di quest’ultimo, forzando quelle che sono le prerogative che la Costituzione attribuisce al presidente della Repubblica. Il primo ad agire in questa direzione fu Oscar Luigi Scalfaro che, nel 1994, dopo la caduta del primo governo Berlusconi, si rifiutò di sciogliere le Camere, anzi si impegnò a ricercare una maggioranza diversa da quella uscita delle urne con la nomina dell’esecutivo di Lamberto Dini. Poi toccò a Giorgio Napolitano, nel 2011, in uno dei momenti più drammatici della storia repubblicana con il Paese sull’orlo del default e della deriva greca, a imporre Mario Monti a palazzo Chigi, ancora una volta a scapito di Silvio Berlusconi.
Tutto questo in ossequio alla regola aurea della politica per cui “ogni vuoto si riempie” che ha consentito al sistema di reggere crisi importanti come quella seguita a Tangentopoli con la dissoluzione di gran parte dei partiti che avevano tenuto in piedi la Prima Repubblica. Oggi, alle forze politiche che sostengono la maggioranza è stata tolta la possibilità di svolgere un’azione politica concreta, ci pensano il presidente del Consiglio e i suoi fidi a mandare avanti il baraccone, anche perché, a partire dal capo dello Stato, manca la fiducia e forse anche un po’ di stima nei confronti dei leader politici. Ecco perché Enrico Letta, dopo aver messo fuori la testa con la proposta della tassa di successione in parte destinata ai diciottenni, stroncata da Draghi, è tornato a praticare l’immane tentativo di fornire un’identità al Pd, con le tante “penelopi” ambosessi di stanza al Nazareno impegnate a disfare di notte quanto tessuto dal segretario. Salvini, sempre più marginale nei processi decisionali rispetto a Giorgetti, continua la sua perenne campagna elettorale tra un delirio mistico e l’altro, incalzato da Giorgia Meloni, l’unica che, essendo fuori dalla sterile ammucchiata della maggioranza può permettersi un po’ di agilità politica. Forza Italia è del tutto paralizzata dalle condizioni di salute di Berlusconi che, come noto, non ha eredi politici. I Cinque Stelle sembrano dinosauri impazziti nel tentativo di contrastare la concreta minaccia di estinzione. Renzi che, al di là della simpatia pari a quella di un chiodo arrugginito conficcato in un alluce, si è defilato perché comunque non difetta di intelligenza e ha capito prima di tutti l’andazzo.
Tutto questo, e anche il pregresso, dovrebbe fare riflettere sul ruolo dei partiti e dei movimenti che sono comunque partecipati e votati dai cittadini e che sembrano perdere sempre più la loro capacità di elaborazione politica, anche per lo scadimento culturale di un personale che non è più sottoposto ai meccanismi di selezione e formazione tipici della Prima Repubblica, in cui non a caso le segreterie avevano peso e centralità nell’azione dei governi. Finché le forze politiche resteranno solo comitati elettorali o sterili litigiose aggregazioni, oppure costruzioni basate su piattaforme digitali, continueranno a perdere forza e credibilità e lasciare quei vuoi che poi, qualcuno finisce sempre per riempire. E non è detto che vada sempre bene per il paese.
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