Suarez e l’Italia
posseduta dal calcio

In un episodio de “I mostri” - celeberrimo film di Dino Risi che offre uno spaccato impietoso e grottesco dell’Italietta vigliacca e cialtrona degli anni Sessanta - un baraccato romano si dispera per lo stato di miseria in cui versa la sua numerosa famiglia. È talmente povero da non potersi permettere nemmeno le medicine per il figlio malato, ma appena esce dal tugurio dove abita spende tutti i suoi spiccioli per andare allo stadio a vedere la Roma di Piedone Manfredini.

Sono passanti sessant’anni, ma stiamo sempre lì. Non tanto per i tuguri e i baraccati, che ci sono ancora, e neppure per i cialtroni, che pure quelli non mancano mai, ma per il livello subculturale, familistico amorale, straccione sì, ma anche antropologico, freudiano, totalmente irrazionale che ci lega, almeno noi maschietti, al mondo del pallone. È un universo altro, una terra di mezzo nella quale le categorie della razionalità, del buonsenso, della correttezza e dell’altruismo vengono completamente meno per dar spazio alle pulsioni più brute, più aggressive, più primigenie degli esseri umani. Non esiste etica, nella bolla della tifoseria, esiste solo volontà di potenza, ricerca dello spazio vitale, bisogno di sopraffazione e umiliazione del nemico. Insomma - di certo in questo sport, di certo in Italia: altrove non si sa - non esistono sportivi, esistono solo tifosi.

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