Quel gusto perverso del politico in galera

In fondo, a noi la galera piace. Quella degli altri, naturalmente. Così come ci affascinano gli arresti, le retate, i blitz delle forze dell’ordine, le liste di proscrizione degli indagati. Soprattutto se sono noti. Soprattutto se sono politici.

È così da sempre, come da sempre questo è il genere di notizia che fa (ancora) vendere i giornali. Sarà perché siamo miserabili, sarà perché siamo livorosi, sarà perché siamo lividi e gonfi di rancori e frustrazioni, ma quando lorsignori finiscono al gabbio o sputtanati in diretta televisiva veniamo tutti quanti pervasi da un inconfessabile senso di sollievo. Perché il politico in galera ci permette di rendere tutto più facile, tutto più semplice, tutto più comprensibile. Di sentirci a posto con la coscienza. Di sentirci migliori. Lui - lui e solo lui - è il ladro, il corrotto, il corruttore. Noi, invece, siamo i puri, gli algidi, gli immacolati. Loro sono il problema, noi la soluzione. Loro sono il male, noi invece siamo il bene e, in quanto tale, vessati, seviziati e perseguitati dai padroni del vapore, da quelli che si baloccano nella stanza dei bottoni, da quelli che giocano con le vite degli altri, condannandoli a esistenze grigie e anonime proprio perché loro - gli altri - hanno sottratto le occasioni, le opportunità, le speranze. E invece, ora che li hanno beccati con il sorcio in bocca, gli tocca pagare finalmente pegno per tutte quelle nefandezze. Giustizia è fatta, non è così?

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