L’ipocrisia globale
sui soldi ai partiti

La cosa davvero incredibile, ripensando agli ultimi mesi di dibattito politico nel cortiletto della repubblica delle banane, è che l’unico ad aver detto la cosa giusta è stato Achille Occhetto. Durante un’intervista su La7 di qualche tempo fa, l’ex segretario del Pci aveva scolpito nella pietra il seguente aforisma: «Il popolo senza mediazione è una brutta bestia: bisogna che cominciamo a educare la gente contro questa idea del popolo. Ci sono le classi, ci sono i ceti intermedi, ci sono le associazioni, c’è la consapevolezza culturale a tutti i livelli: il popolo invece è una cosa grave».

Potete immaginare cosa successe il giorno dopo al malcapitato autore della svolta della Bolognina: insulti, sputacchi, pernacchie, schiaffi del soldato, ceffoni, manrovesci, pedate negli zebedei da parte di tutta la gamma dei giovani statisti di destra-centro-sinistra, ai quali non sembrava vero di poter immortalare la distanza siderale tra gli eroi dei tempi nuovi e lo strabolso, stracotto e strabollito reduce della prima Repubblica. Un massacro. Mancava solo che arrivasse lo scemo del villaggio con la maschera di Brighella a prenderlo a gatti morti in faccia e saremmo stati al completo.

E invece aveva ragione lui. Basta vedere il livello delle polemiche sul finanziamento dei partiti, scoppiate dopo la retata alla Fondazione Open di Matteo Renzi, per capire che l’analisi occhettiana - che non fa altro che ribadire una linea connaturata alla cultura profonda del partito comunista italiano, che ha sempre diffidato, e a ragione, delle piazze non mediate e non incanalate dentro alvei strutturati e governabili - colpisce uno dei mali più esiziali della stagione inaugurata dal melodramma di Manipulite. E che si riassume in sostanza, quando si parla di partiti e di politici, nel postulato davighiano che non esistono innocenti, in quel mondo di fango, ma solo colpevoli che non sono ancora stati incastrati.

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