Ce la siamo meritata la repubblica della gente. La repubblica del popolo. La repubblica delle piazze. La repubblica dei moralisti, degli indignati, dei censori, dei cultori del sospetto, degli uomini qualunque, soprattutto. Ci abbiamo messo un sacco di tempo, facendo due conti quasi trent’anni, ormai. Ma alla fine, eccola qui.
Si sta inevitabilmente parlando molto di “Hammamet”, il nuovo film di Gianni Amelio dedicato all’ultimo scorcio della vita di Bettino Craxi e uscito nelle sale per il ventennio della scomparsa del leader socialista, una delle figure più controverse e di certo più odiate della storia italiana.
Ora, il punto non è tanto il valore intrinseco dell’opera, quanto invece l’occasione che offre per tornare su uno snodo centrale non solo della vita politica, ma anche e soprattutto culturale, antropologica del nostro paese. La fine dell’ex presidente del Consiglio - da condannato e latitante - e tutto il percorso iniziato con la pseudo rivoluzione giudiziaria di Manipulite non è importante di per sé, su questo punto ci sono gli atti giudiziari che parlano, quanto per quello che ha rappresentato. E cioè il disegno - pienamente raggiunto, non c’è che dire - di rileggere tutta la storia recente dell’Italia sotto un’unica chiave di lettura. Quella di una storia criminale. Interamente criminale. Criminale lui. Criminale il suo partito. Criminali gli altri partiti, anche se il Pci si illuse di salvarsi da quella gogna, per poi pagarne il prezzo qualche anno dopo, venendo integralmente identificato con la casta. Criminale tutto il sistema che aveva governato dal dopoguerra fino all’inizio degli anni Novanta.
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