Il treno dei sospetti è arrivato al capolinea

Brescia, ultima fermata. Si scende, signori. Si scende dal treno dei sospetti. Si scende dal treno delle suggestioni. Si scende dal treno dei pozzi dell’informazione avvelenati da notizie parziali, artefatte, quando non clamorosamente false. Giù dai vagoni carichi del fango gettato contro investigatori, vittime, testimoni, medici legali. Questo è il capolinea. Da qui in avanti il convoglio che ha percorso i binari di una giustizia trasformata in diatriba da bar sport, che ha scatenato lo sferragliare dei peggiori odiatori da tastiera, interrompe il proprio viaggio. Questa è l’ultima stazione. Da qui si scende. E anche basta.
Se non fosse chiaro quello che è successo a Brescia quando mancavano meno di 5 minuti alle 15 di ieri pomeriggio, vale la pena ricordarlo: Rosa Bazzi e Olindo Romano sono, oltre ogni ragionevole dubbio, gli autori della strage di Erba. Il Paese più garantista che ci sia sulla faccia della Terra (andate negli Stati Uniti a chiedere una revisione di un processo, e vedete cosa rispondono) ha completato un iter sfociato con una sentenza che conferma non già il complotto peggiore della storia della Repubblica, ma il caso più chiaro e limpido e di colpevolezza clamorosa di due imputati che sia approdato in aula di giustizia. E nonostante questo il sistema si è messo in discussione, ha accettato il beneficio del dubbio. Ma ha dovuto concludere che le suggestioni non abbattono le prove. Che le ipotesi non demoliscono i fatti.

Ciò che è avvenuto in quell’aula di Tribunale, a Brescia, ieri pomeriggio è la dimostrazione che la giustizia funziona. Quella stessa giustizia che ha cancellato una condanna ingiusta a un pastore sardo condannato senza prove per un omicidio commesso trent’anni fa, e che quindi non ha alcun timore di mettersi in discussione, ieri ha sentenziato che quando ci sono le prove, quando ci sono le confessioni, quando ci sono gli indizi, quando ci sono i moventi, quando non ci sono gli alibi, a nulla valgono le trasmissioni tv, i blogger, i giustizialisti da social.

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