l’ultimo mulino
patrimonio
da salvare

Il mulino ad acqua è un impianto che utilizza l’energia prodotta dalla corrente di un corso d’acqua, preventivamente filtrata da una gora e convogliata verso una ruota posta sulla parete esterna. La forza dell’acqua fa girare la ruota, che a sua volta trasmette il movimento all’albero centrale che fa lavorare la macina. Nel territorio comasco, poco prima dell’anno mille, in un atto di compravendita (a Lenno) era già attestata l’esistenza di un mulino ad acqua. Dopo la Seconda guerra mondiale, con l’introduzione di nuove forme di produzione energetica e con la crisi dell’agricoltura, i mulini ad acqua sono stati dismessi; i pochi conservati devono essere salvaguardati come “beni culturali”.

Per più di un millennio, infatti, sono stati il segno dell’ingegnosità tecnica nell’utilizzo di una fonte di energia naturale pulita come è l’acqua. I mulini rimasti sono purtroppo dismessi e si dovrebbero rimettere in funzione attraverso una campagna eco-museale; il costo del recupero è un costo di civiltà, che una comunità deve sostenere per conservare le radici storiche e le tradizioni culturali. Il mulino-maestro Beretta di Camnago Volta è l’unico rimasto nella valle del Cosia e conserva la memoria del lavoro del mugnaio, della vita contadina, dei ritmi rurali diversi da quelli attuali. Nella valle del Cosia vi erano molti mulini, ma sono stati dismessi e trasformati in altre funzioni; il loro riconoscimento è possibile rilevando i resti delle rogge molinare che erano prelevate dal fiume per alimentarli.

Il contesto ambientale

Nei miei articoli sul Cosia ho sempre iniziato l’esposizione dal ponte di San Martino per salire ai percorsi Voltiani; poiché i mulini seguono lo scorrere del fiume, per elencarli è corretto iniziare da Camnago Volta e arrivare alla città. A soli quattro chilometri da San Martino la frazione Ravanera è un angolo di Como scampato dalla cementificazione; il torrente vi scorre incontaminato con cascatelle e forre. Tutto racconta come noi eravamo e da dove veniamo: le case, la chiesetta, i gelsi per la bachicoltura e filatura della seta, le viti maritate con i susini a sostegno dei tralci, i campi coltivati a cereali, i castagneti. Sotto la chiesa di San Francesco da un invaso naturale aveva inizio la roggia molinara che alimentava il mulino ad acqua Arcellaschi, che è stato dismesso e adibito ad abitazione tramite il restauro conservativo eseguito dall’impresa ILAR.

La Villa di Alessandro Volta si trova nella sottostante gradevole frazione di Campora; lo scienziato scriveva, infatti, nel suo epistolario come «Campora sia (ancora) una campagna distante solo un’oretta di passeggio da Como, ma solitaria». Scendendo da via Campora e passando sul ponte del Cosia si raggiunge il secondo mulino alimentato dalla roggia molinara, che poi rientrava nel fiume. Il mulino appartenente alla famiglia Volta è stato poi acquistato dalla famiglia Longatti; in seguito è stato dismesso e trasformato in residenze. Scendendo a Camnago Volta in via Giovanni Battista Avignone una seconda roggia molinara prelevava acqua dal Cosia ed alimentava altri due mulini. In via Avignone vi era il mulino Trombetta, detto “del Marco”, che è stato dismesso e trasformato in abitazione; sulla curva tra via della Libertà e via Navedano la medesima roggia alimentava il mulino Beretta, detto “mulino maestro”.

Censito al catasto teresiano del 1722 il mulino era, secondo alcune fonti, annesso a un antico convento. Dal 1892 è di proprietà della famiglia Beretta ed è rimasto in funzione sino al 1983; è l’unico che è conservato! La roggia rientrava nel Cosia e in via Navedano si incanalava un’altra roggia che alimentava la Cascina Mulino, dal 1896 di proprietà della famiglia Malacrida-Casartelli; il complesso ha cessato l’antica funzione, ma ristrutturato e ampliato è diventato il noto ristorante Navedano. Scendendo in via Pannilani, presso la tinto-stamperia Butti vi erano i Tre Mulini di proprietà Frigerio, Beretta e Butti, alimentati da un’altra roggia molinara; sono stati dismessi e ristrutturati per altre funzioni, la roggia alimenta tuttora la tinto-stamperia. Nei pressi del ponte al Ciclope vi era il mulino Loverini, nel tempo ristrutturato per residenza e altre funzioni; infine nella strettoia di via Pannilani, presso il panificio che profuma la via, vi era il mulino “Tomasin” dei Perdetti, che pur dismesso conserva le antiche murature. Il solo mulino rimasto è il mulino-maestro Beretta, che ha conservato integralmente l’impianto di macinazione. Nel 1892 Lazzaro Beretta, mugnaio dei Tre Mulini, lo ha acquistato e ne ha migliorato le parti architettoniche e le componenti meccaniche. Vi hanno lavorato tre generazioni dei mugnai Beretta; gli è succeduto il figlio Giuseppe, poi il nipote Paolo, che ha continuato a macinare sino al 1983. L’ultimo discendente della famiglia di mugnai è Peppino Muscionico, che da giovane ha collaborato con lo zio Paolo imparando il mestiere. Ora, pur essendo anziano, conserva il mulino con amorevole cura, riparando personalmente la copertura in coppi quando vengono spostati dal vento.

Peppino mi ha accompagnato nel cortile, dove si avverte ancora un’atmosfera conventuale; nel portico mi ha mostrato l’affresco (ritoccato dal pittore Zambra) in cui sono rappresentati la Madonna col Bambino, San Rocco protettore dei pellegrini che venivano accolti nel convento e Sant’Antonio Abate protettore degli animali che stavano nella stalla. Sotto l’intonaco potrebbe esserci anche l’affresco di Santa Caterina d’Alessandria, protettrice dei mugnai.

Della roggia molinara, che giungeva da via Avignone e alimentava la ruota, si vede ancora l’alveo tra l’erba dell’ampio giardino. La ruota in legno di larice, pur avendo quasi cento anni, è perfettamente conservata perché Giuseppe l’ha protetta con una fascia di ondulux a riparo dalle intemperie. La macina è costituita da due massi circolari di pietra di Sirone; quello inferiore è fisso, quello superiore ruota grazie agli ingranaggi che trasformano l’energia idraulica in motrice; l’attrito tra i massi è regolabile secondo il prodotto da ottenere. Alla macina il granoturco arriva attraverso la tramoggia in legno che lo versa lentamente; quando la tramoggia è vuota un meccanismo fa suonare la campanella affinchè la macina non giri a vuoto e si rovini. La farina esce dall’apertura e va in una vite senza fine che la porta al buratto, posto al piano inferiore; il buratto è un setaccio con i fori in ordine tale da ottenere prima la farina fine (fioretto), poi la farina normale (per polenta, ecc.), poi la crusca e infine lo scarto. Alle pareti del mulino sono appesi ordinatamente da Peppino i numerosi utensili del mugnaio. Pur essendo un “mulino giallo” per granoturco, dalla valle vi giungevano anche altri cereali: frumento, segale, fraina (grano saraceno). Dai castagneti di Ponzate e Lipomo, in parte esistenti, arrivavano le castagne da macinare per ricavare la farina. Sino a metà Novecento il mugnaio Paolo Beretta lavorava quel che gli portavano i contadini, ma, una volta cessata l’agricoltura nella valle, comperava i cereali, li macinava e li commerciava in sito. Per la conservazione del mulino-maestro si sono interessati studiosi ed associazioni: il direttore dei Musei Civici di Como dott. Lanfredo Castelletti con una proposta interessante, la Circoscrizione n. 5 di Camnago Volta col presidente Felice Brenna, l’Associazione La Città possibile. Gli appassionati soci della Città possibile, con i Comuni di Como e Tavernerio, nel 2002 hanno permesso la riapertura della passeggiata dell’ex-tramvia Como-Erba, interrotta dal crollo del ponte in muratura, con la costruzione del ponte metallico dei bottini.

La tesi di laurea

Il mulino Beretta è oggetto di visite scolastiche e turistico-culturali ed è trattato nella tesi di laurea della dottoressa Azzurra Piatti. Per mantenerlo in sicurezza per i visitatori occorrono degli interventi che non possono essere affrontati solo da Peppino, ultimo discendente dei mugnai. Il mulino-maestro del Cosia, censito al catasto teresiano del 1722, è un bene culturale raro e la sua conservazione è una priorità per il Parco Locale di Interesse Sovracomunale Plis (approvato dalla Regione Lombardia nel 2019) che comprende i Comuni di Albese con Cassano, Como e Tavernerio. Il mulino sta nel Comune di Como, ma il suo restauro è di interesse per gli abitanti dei tre Comuni del Plis ed anche per gli abitanti della Regio Insubrica. Nel vicino Canton Ticino, infatti, sono stati censiti gli antichi mulini ad acqua, con cui è stampato il bel calendario, e sono stati eseguiti alcuni restauri esemplari a scopo didattico e turistico-culturale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA