Quando si laureò in Criminologia, nel 1972 a Bruxelles, di questa disciplina - oggi così conosciuta - non si sentiva neanche parlare: meno ancora, era una laurea per preti. Padre Noè Cereda si presentava invece tuttora così: «Missionario dell’istituto Consolata, criminologo». È deceduto ieri, a 88 anni, a Torino, nella casa di riposo dell’istituto, portando con sé un patrimonio esemplare di fede, umanità e competenze, straordinario e unico. Prese la laurea in Criminologia per dare la mano agli ultimi: «Mi permise - ci spiegò in una recente intervista - di entrare a insegnare nella facoltà di Diritto dell’Università di Kinshasa, in Congo. Quello fu il primo passo: da lì, su richiesta del vescovo, potei avviare percorsi rieducativi per i detenuti». Se Kinshasa, per i poveri, sa essere un inferno, per chi finisce (più o meno colpevole) in carcere, è l’abisso. Padre Noè raccontava: «Aprii una casa di rieducazione per 300 maschi. Erano criminali, ma perché avevano avuto un’infanzia di miseria»: e lo affermava già in anni dominati da tutt’altre teorie.
La sua ordinazione sacerdote era avvenuta nel 1963; poi era partito per il Canada. In Congo trascorse 17 anni, ma anche due a Parigi, come sostituto parroco, e 8 a Bologna nella Casa Editrice Missionaria Italiana, infine 4 a Torino, dove - tra le sue tante esperienze - ci fu quella di aprire una libreria cattolica.
Sono scritte nella storia della missionarietà, le sue iniziative che, nel 2010 lo portarono ad essere insignito, tra l’altro, del Premio Graziella Fumagalli e Madre Erminia Cazzaniga. «A Kinshasa - ci raccontava - il vescovo mi assegnó la collina di Mont Ngafula, sulla circonvallazione: busognava lavorare anche sulla prevenzione, disse, creando un asilo e, poi, via via le scuole fino al liceo. Ho potuto contare su molti benefattori. Un giorno, per esempio, mentre guardavo i ragazzi entrare a scuola, si avvicina un turista, di Monte Carlo, elegante. Mi chiede come faccio a sfamare tanti bambini. Rispondo: “Non gli dò da mangiare, infatti”. Mi ribatte: “Allora, ci penserò io”; dieci giorni dopo ero già a casa sua per ritirare i soldi e acquistare macchine per fare il pane per tutte le nostre scuole». Fu così ribattezzato “Padre pane” dalla gente, semplice e affamata, delle periferie; per la farina, padre Noè scrisse al governo Usa: «Per vari motivi - ci spiegò - la regalava a sacchi; l’acqua non mancava, grazie alle ramificazioni sotterranee del fiume Congo».
Nel 1999, padre Noè iniziò la sua seconda vita, in Madagascar, a Hell-Ville: iniziò da una scuola per i figli degli antichi schiavi, giungendo a costruirne, negli anni, altre quattro: asilo, elementari, medie e liceo. In totale, 4 mila scolari; molti arrivavano da casa senza colazione e si addormentano sui banchi. Anche qui, padre Noè pensò al pane quotidiano: «Semina, semina - era il suo motto - ogni chicco arricchirà un angolo della terra». Un acquedotto, tre forni, uno a gasolio e due a legna: insegnò ai ragazzi più grandi il mestiere; intanto, lui collaborava anche alla costruzione di un ospedale con pronto soccorso, dentista e oculista, sala operatoria e ginecologia. Sempre nel 1999, padre Noè ottenne dai superiori un permesso ad personam: era l’unico nel Paese; dal 2005, si trasferì nella capitale. Il suo funerale sarà fissato a breve, e avverrà (probabilmente mercoledì) nella parrocchiale di Castello. P. Zuc.
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