Salvi dopo lo schianto in volo: «Vi racconto quei minuti infernali»

Mantello

«Ho visto con la coda dell’occhio qualcosa che si schiantava contro l’aereo, penso si sia trattato di un solo uccello. Tutto ha funzionato alla perfezione, e se non avessi avuto quella brutta ferita all’occhio saremmo riusciti ad atterrare senza problemi all’aviosuperficie di Caiolo». A parlare è Alberto Porto, 58 anni, di origini argentine ma residente a Cremella in provincia di Lecco, costruttore e pilota dell’aeromobile Risen superveloce 916 della Porto Aviation che venerdì mattina è precipitato nel territorio di Mantello, al confine con quello di Cino.

Abbiamo contattato lui e Saby David, 43 anni, sua moglie e copilota anche venerdì mattina, che lo sta assistendo in questi giorni di degenza all’ospedale Papa Giovanni XXII di Bergamo. «Sto abbastanza bene, anche l’occhio che ha subito la ferita, sono in fase di ripresa – ci dice subito Alberto -. Purtroppo incidenti come questi sono da mettere in conto per chi fa il nostro mestiere, ma tutto ha funzionato per il meglio e ora, quando potremo recuperare il velivolo incidentato, faremo tutte le analisi del caso così da riuscire a migliorare ulteriormente i sistemi di sicurezza, che in questo caso, comunque, hanno davvero lavorato benissimo». Alberto e Saby ricostruiscono quello che è successo dopo che l’uccello si è schiantato contro il cupolino del biposto, due minuti e mezzo, forse addirittura tre, prima che l’ultraleggero finisse tra gli alberi.

«Con la coda dell’occhio ho visto qualcosa che impattava, e ho riportato una brutta ferita all’occhio, non vedevo bene – racconta il pilota -. Con Saby abbiamo cercato di valutare la situazione, l’eliporto di Caiolo non era molto lontano, inizialmente ho pensato di raggiungerlo per atterrare in tutta sicurezza. E l’aereo ci sarebbe riuscito senza problemi, era intatto, si era stacato solo il plexiglas, come se in un’auto “saltasse” il parabrezza, ma la cornice restasse intatta». La ferita all’occhio, però, non era da poco, e non essendoci zone che potessero fungere da pista nelle immediate vicinanze, pilota e copilota hanno deciso di non rischiare. «Alberto sanguinava molto, temevo potesse svenire, anche se è sempre rimasto cosciente – racconta la moglie -. Abbiamo deciso quindi che fosse meglio metterci in sicurezza. L’aereo ha un sistema di emergenza molto buono e abbiamo deciso quindi che la cosa migliore era sparare il paracadute in una zona lontana dalle case così da non causare danni a terra». E così hanno fatto, riuscendo a mettersi in salvo senza gravi conseguenze né per loro né per altri. «Poteva andare meglio se non fossimo finiti tra gli alberi – continua Seby -. Alberto si è sganciato, poi ha sganciato anche me, siamo scesi e ci siamo messi in sicurezza nel prato. Ho urlato, ho chiesto aiuto, ma qualcuno dalle case vicine aveva già notato quello che era successo e chiamato i soccorsi».

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