Cronaca / Merate e Casatese
Domenica 19 Aprile 2020
«Frisia aperto al virus
Noi senza protezioni»
L’intervistaAntonella Corsini, infermiera nella struttura di Merate del Pio Albergo Trivulzio: «Ci dicevano di risparmiare sulle protezioni e non facevano tamponi»
È stata interrogata dai Carabinieri di Merate Antonella Corsini, una delle infermiere del Pio Albergo Trivulzio sede di Merate, la Rsa “Frisia”, una delle sedi più colpite dal Covid 19 e sul quale sta indagando anche la Magistratura per le 50 morti accertate tra gli anziani ospiti. Corsini è stata una delle prime ad accusare i vertici del Pio Albergo Trivulzio di non aver preso subito sul serio l’emergenza, di aver tergiversato. Accuse circostanziate dal fatto di essere una seria lavoratrice del Frisia da 32 anni nonché una stimata rappresentante sindacale Cgil Fp che ha fin dall’inizio denunciato ufficialmente i paradossi che stava vivendo di persona.
Come sta signora Corsini, ma soprattutto perché non riesce a darsi pace?
La situazione non è delle più felici, ma continuo a lavorare. Come al solito ci sono colleghe che parteggiano per la mia parte e chi per l’altra, ma a me interessa dire solo la verità. Io so di aver detto la verità. E la verità è che si è sbagliato qualcosa. Ci sono in corso le indagini della magistratura e io sono stata sentita anche dai Carabinieri di Merate, per cui vediamo come andrà a finire. Ho ripetuto a tutti la stessa cosa che è la verità: sono state aperte porte, cancelli e finestre al virus.
In che senso?
Ci invitavano a non indossare le mascherine fin quando non avessimo avuto sicurezza dell’esito della positività al virus. Ma intanto di tamponi non ce ne facevano. Né a noi né ai parenti. Eppure ci dicevano di non “sprecare” mascherine senza avere prima la sicurezza del contagio. Avevamo il medico della Rsa ricoverato. “Fin quando non siete positivi non mettetela”, ci ripetevano.
Ma c’era già il virus al Frisia quando le hanno dato ordine di non usare i dispositivi di protezione individuale?
Non sono mai stati fatti tamponi né ai dipendenti né ai pazienti che però presentavano sintomi di polmonite non batterica. Poi il virus è entrato di sicuro per il fatto che non abbiamo chiuso subito il Frisia ai parenti. Ne entrava solo uno per paziente, ma entrava. C’era già il decreto che imponeva la distanza di sicurezza e l’uso della mascherina, ma noi non avevamo né l’una né l’altra. Ma quando pratichi l’igiene e le cure, quale distanza puoi tenere? Solo le mascherine avrebbero potuto proteggere noi e i pazienti. Possiamo essere stati noi a portare il Covid 19 dentro, o i parenti dei pazienti. È entrato senza problemi questo virus al Frisia. Per me è entrato per la troppa superficialità.
Ma queste cose come rappresentante sindacale, lei le faceva presenti a chi di dovere?
Certamente. Chiamai subito il mio segretario provinciale Catello Tramparulo e dissi che stava capitando il finimondo. Lui scrisse immediatamente alla direzione richiedendo una lettera di incontro con il direttore generale. La lettera è stata mandata a inizio marzo… Non abbiamo mai avuto risposta. Successivamente abbiamo cominciato, intorno a metà marzo, a mandare due o tre diffide dove si denunciava il fatto che eravamo sprovvisti di mascherine e controlli sanitari… Mai avuto risposta.
Si è data una spiegazione a tutto questo?
No. Tra l’altro non riuscirò mai a resettare questa situazione perché da inizio di marzo hanno cominciato ad aggravarsi e a morire i nostri pazienti, uno dietro l’altro. Sono i nostri nonni, eravamo in giardino insieme, al bar a bere il caffè, e poi nel giro di dieci giorni, uno dietro l’altro, se ne sono andati tanti. Poi hanno cominciato ad ammalarsi i colleghi. Nell’arco di un mese sono morti tra i 50 e i 60 anziani e tanti dei miei colleghi infermieri e dei medici sono rimasti a casa malati. Il personale girava liberamente tra reparti con isolamento e reparti senza isolamento. Abbiamo aperto porte e finestre al virus.
Si è fatta delle domande su cosa avrebbe potuto fare lei per prima?
Sempre. Mi sono sempre chiesta se stessi facendo abbastanza per tutelare i miei pazienti e le mie colleghe. Ma poi mi sono sempre risposta con un’altra domanda: “Perché non si fanno queste domande i vertici?”. E nella vicina Villa Cedri avevano chiuso tutto subito e usavano le mascherine fin dai primi giorni. Un esempio a un paio di chilometri dal Frisia, a Sartirana… Magari non saremmo riusciti a salvarli tutti, ma una sola morte in meno sarebbe stata importantissima.
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