Ciascuno dei 45.000 ponti italiani fa storia a sé: non si può generalizzare, ritenendo tutti quelli costruiti in quel periodo e con quella tecnologia a rischio di crollo. Però molti sono a fine vita e, senza voler fare allarmismo, di fatti come quelli di Annone e Genova siamo destinati a sentirne ancora, nel futuro prossimo».
Tra i maggiori esperti internazionali di calcestruzzi figura anche un docente del Politecnico di Milano che insegna e dirige laboratori di ricerca a Lecco. E’ Marco Di Prisco, coordinatore del corso di studi in Ingegneria civile per la mitigazione del rischio, già incaricato di effettuare perizia e relazione tecniche sul viadotto di Annone dopo il 28 ottobre 2016.
Cosa è accaduto al ponte “Morandi”?
Difficile da dire, le immagini sono molto povere. Sicuramente a pesare è stata l’esposizione della struttura, praticamente affacciata sul mare. Inoltre, 50 anni fa la conoscenza del calcestruzzo era molto più limitata di oggi: in 25 anni la sua resistenza è stata quadruplicata. In ogni caso, il cemento non fessurato è in grado di proteggere bene l’acciaio che avvolge. C’è da dire che se un cavo è progettato per resistere a certi carichi ma poi viene impegnato da carichi maggiori, il calcestruzzo rischia di andare in trazione e si può fessurare, esponendosi all’azione di cloruri e solfati che aggrediscono l’acciaio. Ancora di più vicino al mare, dove l’ossidazione può aver prodotto la rottura di qualche tirante.
Crede ci sia stata qualche mancanza in termini di manutenzione e monitoraggio?
Si tratta di un viadotto progettualmente ardito e delicato, ma molto importante, e sicuramente strumentato e monitorato. Prima di dire che qualcuno ha sbagliato bisognerebbe acquisire queste informazioni, perché nessuno si sogna di prendersi consapevolmente la responsabilità del collasso di un ponte di questo tipo. Comunque, additare un colpevole è difficile: un monitoraggio anche molto fine può non riuscire a cogliere il punto critico, da dove il fenomeno aggressivo si propaga internamente.
Quale tipo di tecnologia è stata utilizzata per costruirlo?
Il calcestruzzo armato precompresso, la tecnologia di gran lunga più economica a parità di prestazione. Quasi tutto è costruito così.
Con quella tecnologia sono stati costruiti molti viadotti, anche nel Lecchese. Sono tutti a fine vita?
Non è detto. Certo, l’altro “Morandi” ad Agrigento è in condizioni analoghe a quello di Genova, quindi può dare effettivamente problemi seri. Ma non si può generalizzare perché ciascuno può avere caratteristiche diverse dagli altri, a partire dai carichi previsti.
A proposito di carichi: negli ultimi decenni sono molto aumentati.
Bisogna pensare che i carichi siano da ridurre. Si pensi al ponte di Annone: era di seconda categoria (per camion di piccolo tonnellaggio, fino a un massimo di 32) ma veniva usato come fosse di prima (per trasporti eccezionali, come quello che l’ha fatto crollare, ndr.). La schedatura è fondamentale: in alcuni casi, specie su strade provinciali e comunali, non si conosce il carico concesso. Conoscere è essenziale, perché si costruisce, ma le strutture non durano in eterno.
A questo proposito c’è chi obietta che ci sono ponti romani ancora ben stabili.
Vero. Ad esempio anche il Visconti a Lecco, cui ho lavorato personalmente. Ma, detto che anche tanti ponti romani sono crollati, c’è da dire che ogni pila del ponte Vecchio pesa 927 tonnellate. E’ un’opera massiva, se ci faccio passare sopra altre 100 tonnellate è in grado di reggere. Il cavalcavia di Annone, invece, in tutto arrivava a 170 tonnellate. Con un trasporto eccezionale da 108 arrivo quasi al doppio.
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