Cronaca / Lecco città
Giovedì 08 Febbraio 2018
«Spiegare la storia
contro ogni genocidio»
Suo nonno morì ad Auschwitz, sua figlia è “desaparecida”. Domani a Lecco Vera Vigevani Jarach, una delle Madri di Plaza de Mayo
«La cosa più brutta? La depressione che paralizza. Certo, il dolore tremendo, l’incertezza, l’ansia ti sommergono, ma poi peschi un’energia che ti sostiene. Non siamo state eroine, noi madri della Plaza de Mayo: c’era una forza viscerale che ci spingeva, un assoluto bisogno di sapere cosa fosse successo ai nostri figli. Ci siamo trovate perché andavamo negli stessi posti a chiedere raccogliendo silenzio, ci siamo strette tra di noi, camminando insieme a braccetto e man mano cresceva questo sentimento di forza contro una dittatura brutale, la violenza del potere che tutto travolge. Questa forza ha creato una vera e propria resistenza, è l’energia che alimenta ogni Resistenza».
Ha una voce squillante e potente Vera Vigevani Jarach, 90 anni tra meno di un mese, che venerdì 9 febbraio sarà a Lecco, alle 17 nell’aula magna della scuola Stoppani, per incontrare studenti e cittadini insieme ad Aurora Meloni, parte civile del processo Condor di Roma. “Nunca mas, mai più il silenzio”.
Vera non ha ancora smesso di parlare, «è la mia missione”, dice. Suo nonno è stato deportato a Auschwitz il 30 gennaio del ’44 - cacciato insieme a tanti nei vagoni merci partiti dal binario 21 - dove è morto. “Non c’è tomba”. Lei si è salvata perché nel ’39, undicenne, ha lasciato Milano, l’Italia, e si è trasferita con i genitori in Argentina. Anni e anni dopo sua figlia Franca, 18 anni, è stata sequestrata a Buenos Aires e poco dopo uccisa con i voli della morte. Caricavano sugli aerei i prigionieri, coloro che in vari modi si erano opposti al regime, e li sganciavano in mare, al largo. “Non c’è tomba”.
Come si fa a sopportare un destino così atroce e ossessivo senza soccombere a una visione della vita cupa e disperata?
«Mi sono presa un impegno - spiega -, è questo che mi dà forza. Un impegno di fronte al presente e al futuro: raccontare a tutti per non dimenticare. Le risposte, soprattutto dei ragazzi, mi gratificano».
E Vera continua a raccontare da testimone e militante della memoria, come si definisce, in giro per il mondo, sempre in movimento.
«Certo, la parola movimento dice tutto. Bisogna sempre muoversi di fronte alla paura, affrontarla con il cervello, l’anima e anche le gambe, con tutto il nostro essere. E’ importante - sottolinea - trasmettere quel vissuto, favorire la comprensione della storia per vaccinare i giovani contro guerre, persecuzioni e genocidi, renderli esperti a riconoscere i germi e i prodromi anticipatori del cedimento a un modo di pensare che apra la porta a quello che abbiamo già sperimentato. A questo serve la memoria».
Secondo lei ci sono segnali che questi germi si stiano diffondendo come il morbillo che sembrava debellato, come mai prima dal dopoguerra?
«Ascoltavo prima su Rai 3 una donna che rivendicava il fascismo e pensavo che fino a qualche anno fa sarebbe stato inimmaginabile. Un fenomeno visibile ovunque, non solo in Italia, che preoccupa».
L’indifferenza è il vero pericolo che sta tornando?
«No, l’indifferenza no. Non certo in Argentina dove non c’è più sfiducia ma una gran voglia di fare politica, di partecipare. In Italia non so, da osservatrice saltuaria, la cosa peggiore mi pare la disunione politica. Per quanto mi riguarda sono occupata a trasmettere il testimone ai giovani: memoria, impegno, sogni e anche utopie. Tra un po’ noi non ci saremo più, tocca a loro, e su di loro io scommetto tutto».
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