Cronaca / Lecco città
Giovedì 17 Settembre 2020
«Roberto, il nostro collega
che arrossiva per un niente»
I ricordi Prima della vocazione, il sacerdote ucciso aveva lavorato due anni in banca a Lecco. «Era appassionato di montagna e aveva fatto il Bernina, non proprio una passeggiata. Ma non se ne vantava»
«Era una persona che arrossiva quasi solo a rivolgergli la parola, ma era un gran lavoratore, sempre pronto ad aiutare tutti». C’è grande tristezza nei colleghi che tra il 1989 e il 1991 hanno lavorato con don Roberto Malgesini nella sede lecchese della Banca Popolare di Sondrio, prima che diventasse prete.
«Io – racconta Luca Marazzi - ho incominciato a Lecco nel 1991. Lo ricordo come una persona molto capace sul lavoro. All’epoca si macinava anche qualche centinaia di operazioni al giorno e c’era una componente molto manuale. Come persona era discreta, non l’ho mai sentito alzare la voce. Era molto disponibile ad aiutare i colleghi sul lavoro».
L’annuncio: «Diventerò prete»
Ancora limpido nella memoria del giorno in cui si era licenziato per seguire la sua vocazione: «Ricordo molto bene il giorno che ci aveva detto che ci avrebbe lasciato per intraprendere questa strada. In questi 30 anni l’ho incroci. Non posso che dirne bene. Conoscevo anche don Renzo Beretta, anche lui ucciso. Quello di don Roberto è stato un altro colpo: vedere una persona che aveva fatto dell’aiuto agli altri la propria ragione di vita, finire così per mano di chi aveva beneficato lascia senza parole».
Roberto Sala ne ricorda la grande disponibilità: «Si intravedeva quella che era la sua indole, cioè quella di aiutare gli altri. Io avevo iniziato nell’82 e quindi avevo 7 o 8 anni di esperienza in più, ma eravamo entrambi molto giovani. In una banca dove c’è un salone, si è una squadra e tutti lavorano per sé e per gli altri. E lui lo aveva capito molto bene. Quando ero stato trasferito, c’eravamo persi di vista e quindi ho saputo solo dopo qualche anno della strada che aveva scelto. La notizia della sua morte mi ha lasciato molto stranito. Mi chiedo perché chi aiuta gli altri in questo modo debba avere questo destino». Anche Domenico Salierno ha lavorato a stretto contatto con don Roberto: «Lui faceva il cassiere e io ero nel salone. Era una persona che quasi arrossiva solo se a rivolgergli la parola. Per questo suo modo di essere ogni tanto veniva preso di mira dai colleghi, ma sempre in modo bonario. Eppure non l’ho mai visto una volta arrabbiato, sempre, sempre con il sorriso sulla bocca».
Tra i tanti c’è soprattutto un aneddoto: «Eravamo tutti e due molto appassionati di montagna. Lui aveva fatto il Bernina e nel raccontare l’ascensione, che non è proprio semplice, anzi è impegnativa, aveva gli occhi che gli brillavano. Chiunque avrebbe evidenziato la propria impresa, lui invece mi ha detto che aveva avuto paura nel tornare lungo la cresta che è un po’ esposta. Mi aveva affidato questa confessione». Vincenzo Cardella in quegli anni era capo cassiere a Lecco: «Lavoravamo insieme in cassa, lui aveva appena iniziato. Era una persona splendida, aveva una parola buona per tutti i clienti, aiutava chiunque avesse un problema, si metteva anche a compilare la distinta se qualcuno era in difficoltà. Ci sapeva fare con le persone, se poteva aiutare i colleghi, anche se era l’ultimo arrivato, lo faceva. Ricordo che quando la sera chiudevamo i conti e qualche imprecazione scappava, lui ci diceva “ragazzi no”. È proprio in quel periodo che un giorno ci ha fermato e ci ha detto che si era licenziato. Pensavamo lo avesse assunto un’altra banca. Per qualche giorno lo abbiamo preso in giro perché non ci credevamo che andasse a fare il prete. Ho un ricordo splendido di lui».
«Era uno sgobbone»
Infine, Gianluigi Manzoni che era capo salone alla succursale di Lecco. «Roberto era molto timido, bastava solo guardarlo in faccia che arrossiva. Era bravo, faceva tutto quello che gli si diceva. Era il classico sgobbone, giù la testa e lavorare. Ma ricordo quella timidezza. Una mattina è venuto a dirmi che aveva sentito la chiamata e che andava a prete. Io gli ho risposto: come pensi di andare a parlare alla gente se diventi subito rosso. Poi, quando una quindicina di anni fa mi avevano spostato a Como, lui passava a trovarmi». Grandissima tristezza quando ha appreso la notizia della morte: «Un collega mi ha scritto chiedendomi se era il “Malge”, come lo chiamavamo noi. Sono rimasto incredulo: proprio lui che era una persona che si dava tanto da fare per gli altri, stando con gli ultimi. È stata una botta. Poi quando ho letto le parole dell’uomo che lo ha accoltellato sono rimasto disgustato».
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