Rivolta dei medici di famiglia lecchesi contro la riforma del settore: «Noi dipendenti? Oggi è impensabile»

Lecco

Medici di famiglia in rivolta. La “paura” è quella di diventare impiegati dello Stato, dipendenti, ma, forse, anche quella di abbandonare la libera professione per forme di impiego ancora non ben chiarite: quelle indicate nella bozza della legge di riforma che gira da mesi sui tavoli di ministri, assessori alla Salute regionali, ma anche sindacati dei medici di medicina generale. Mille versioni e riscritture, ma una sola certezza: lo Stato vorrebbe che i medici “di famiglia” lavorassero di più (come ore, non come effettivo impegno) e fossero diretti dai dirigenti sanitari affinché sia proprio il governo del territorio, del servizio sanitario nazionale, a decidere come impiegare queste 38 ore di lavoro. L’impegno di queste ore sarebbe suddiviso in parte tra i propri assistiti e in parte a disposizione delle esigenze sanitarie territoriali. Per cui all’aumentare del numero di pazienti diminuirebbe il numero di ore a disposizione di Asst o Ats della propria zona. Qualche esempio? Fino a 400 assistiti solo sei ore per i propri pazienti e le altre 32 a disposizione. Oltre i 1.500 assistiti (i cosiddetti medici massimalisti), 24 ore da dedicare agli assistiti e le restanti per le esigenze della programmazione territoriale. Luogo di lavoro? La Casa di Comunità, quel “guscio vuoto” (almeno attualmente) che non decolla per mancanza di medici (da qui l’esigenza della riforma), ma anche perché non si sa bene cosa far fare ai medici lì dentro.

Bruno Fiorentino della Fmt (federazione medici del territorio), insieme a Snami e Fimmg, fa parte del tavolo permanente della medicina generale di Lecco, organismo unico in Lombardia istituito presso l’ordine dei medici (Omceo): “La dipendenza implica una serie di garanzie che devono essere date al dipendente. Ferie, malattia, maternità… In questo momento in cui per riuscire a prendere un giorno di ferie gli Mmg devono sostituirsi a vicenda raddoppiando il numero di assistiti e il carico di lavoro per qualche giorno è poco pensabile. Da considerare anche che molti di noi sono proprietari del loro studio e che trasferirci tutti nelle CdC è infattibile, sia per questioni di spazio, sia perché verrebbe meno la tanto pubblicizzata “prossimità” territoriale””. La distribuzione del carico di 38 ore in base agli assistiti, non piace ai medici: “Tot ore per i propri pazienti e tot per l’attività territoriale in CdC? Impensabile. Le ore dedicate ai pazienti, così facendo, verranno ridotte alla sola assistenza di visita in ambulatorio senza nulla di più (no telefono, no mail, no visite domiciliari) e sarà la fine anche delle visite in ambulatorio. Il Mmg andrà in CdC a effettuare le attività indicate dal distretto, per le sole ore previste dal contratto finite le quali il lavoro rimasto, resterà inevaso”.

E cosa si farà nelle Cdc è ancora tutto da stabilire: “Un Mmg che lavora in CdC non è uno specialista che fa esami, ecografie, e via dicendo. A meno che, come dipendente, Asst non offra dei corsi di formazione gratuiti per queste singole attività e conseguente possibilità di referto e telemedicina con ospedali. Ma anche così andrebbe normata la cosa. L’invecchiamento della popolazione generale e la maggiore necessità di cure non viene risolta in questo modo, accentrando il medico per qualche ora in una struttura “vuota”. Attualmente anche in pronto soccorso si eseguono per visite “banali” quali accessi per tosse o malessere degli esami strumentali che la CdC non avrà a disposizione”.

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