Reddito di cittadinanza
«Chi lo riceve è in crisi»
L’identikit tracciato dalla coordinatrice Anpal: «Molti cinquantenni, il 43% ha solo la licenza media, Tante le situazioni di oggettiva difficoltà»
Fuori dal lavoro da anni, bassa scolarizzazione, minime competenze digitali e per lo più uomini: è il ritratto della maggior parte delle persone che ricevono il reddito di cittadinanza nei nostri territori, usciti allo scoperto con la nuova e controversa misura di sostegno alla povertà.
Secondo i dati Inps di ottobre scorso, le famiglie che hanno percepito il reddito di cittadinanza a Como sono 3.568 per una somma media di 509 euro, a Lecco sono 1.593 per 475 euro e a Sondrio sono 968 per 484 euro. Ora sappiamo chi sono, grazie al lavoro nei mesi della pandemia e oltre dei navigator. Giovani, laureati e di provenienza dalle regioni del centro-sud, i navigator sono 16 a Como, 12 a Lecco e 10 a Sondrio. Alla vigilia di una nuova modifica della normativa, la figura di intermediazione tra i richiedenti il reddito e i Centri per l’impiego verrà sostituita da operatori. La buona notizia è che molti di questi giovani hanno sostenuto e superato il concorso per entrare in organico.
Siamo infatti in una fase di potenziamento dei Centri per l’impiego e tra gli impegni c’è anche quello di intercettare i ricettori di reddito di cittadinanza per avviarli al lavoro.
«È bene precisare che il reddito di cittadinanza non è una politica attiva, come è stato erroneamente inteso, ma un sussidio alla povertà. L’approccio corretto quindi non può essere “quanti posti di lavoro si sono trovati” - spiega Silvia Valoti, coordinatrice territoriale Anpal Servizi Lombardia - perché i bisogni di queste persone sono molto più complessi, difficile l’occupabilità e la tenuta nel tempo».
La maggior parte dei richiedenti del reddito di cittadinanza ha un’età tra i 48 e i 53 anni, per il 43,8%, secondo i dati riferiti alle tre province di Como, Lecco e Sondrio, e sono persone che per il 32% non lavorano da un anno, il 24% non lavorano da due anni, il 50% da più tempo. Solo il 10% di loro ha avuto nella vita contratti a tempo indeterminato, il 12% a tempo determinato e il 30% a tempo indeterminato part time. Molti hanno lavorato ma senza nessun contratto.
Le mansioni svolte sono, nel caso degli uomini, per il 29,9% manovale, il 13% operaio, il 16% altro, e poi percentuali polverizzate in magazziniere, bracciante agricolo, corriere. Le donne sono state per il 25,8% addette alle pulizie, il 16,9% commesse e in misura minore assistente alla persona, operaie, cameriere.
Il titolo di studio più diffuso è la licenza media per il 43%, il 23% non ha nessuna qualifica significativa. Solo il 13% possiede un diploma. Le competenze digitali in generale sono classificate come bassissime per 54% dei casi.
Tra loro anche giovani in percentuale significativa: hanno tra i 23 e i 29 anni per il 13,3% e il 10% sono giovanissimi: tra i 18 e i 23. «Ragazzi che hanno interrotto presto gli studi ma sono fuori dall’obbligo scolastico - continua Silvia Valoti - e poi ci sono situazioni diverse e di oggettiva e varia difficoltà di chi non ha la patente e magari abita in Val d’Intelvi. Oppure ha la patente ma non la macchina. L’elemento interessante è che questo insieme di persone prima conosciute solo ai servizi sociali oggi, con il reddito di cittadinanza sono diventate visibili al centro per l’impiego». Questo ha permesso di costruire un dialogo tra servizi. Ora i Centri per l’impiego e i servizi sociali possono lavorare insieme per offrire un servizio integrato a persone che hanno bisogni complessi.
L’esempio arriva da Menaggio, dove si è costruita una rete efficace, come anche a Como e Lecco. Il confronto tra i due aspetti di un unico problema sociale ha fatto anche emergere dati prima poco noti. Per esempio Sondrio è la provincia lombarda con il più alto numeri di suicidi. Il problema del trovare lavoro è solo uno degli elementi del puzzle dei bisogni sociali.
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