Cronaca / Lecco città
Domenica 06 Dicembre 2020
«Qui pensiamo
alla terza ondata
E siamo pieni»
Il medico Paolo Maniglia è in trincea al Manzoni. «Non sappiamo ancora curare questo virus»
In terapia intensiva a Lecco interessano poco i conteggi, le proiezioni, i Dpcm, i decreti legge… Al Manzoni la rianimazione Covid è sempre piena. E tanto basta per non stare tranquilli. Certo, non ci sono soltanto lecchesi, ma cosa importa?
I medici e gli infermieri lavorano notte e giorno senza sosta una battaglia iniziata a febbraio e mai finita. In attesa della possibile terza ondata. Paolo Maniglia, rianimatore del Manzoni e lecchese, non ha dubbi.
Dottor Maniglia, come sta andando?
Diciamo che è sempre impegnativo. Non ci siamo mai svuotati. Abbiamo sempre i venti posti di terapia intensiva pieni e stiamo aprendo una nuova semi intensiva in previsione di quello che potrà capitare. D’altronde hanno dichiarato la zona arancione, la gente è in giro e gli ospedali sono ancora pieni. Lo dimostrano i morti. Calano i reparti Covid? Devi tenerli aperti comunque per un possibile aumento. E i reparti non Covid sono sempre più pieni. E la gestione mista è sempre quella più difficile. Quando gestisci i pazienti Covid e non Covid, l’impegno diventa esponenziale.
Come mai?
Perché devi mantenere per tutto i percorsi “puliti” e “sporchi”. Raddoppi la fatica per gestire magari lo stesso numero di pazienti. La terapia intensiva? Ce ne sono due da dieci posti Covid e una non Covid espandibile da 6 a 8 posti.
E rispetto a marzo? Al picco della prima ondata?
Eravamo a 40 intensivi più 24 subintensivi solamente Covid. Come abbiamo fatto? C’era “solo” quello da fare. Il lavoro era paradossalmente più semplice. Anche se il numero di medici e infermieri è sempre quello. È arrivato qualche anestesista nuovo, ma altri sono andati in pensione. Stesso discorso per gli infermieri. E poi c’è chi si positivizza…
Un problema, questo, che pare irrisolvibile. Ma il personale si positivizza in ospedale?
Non lo sappiamo. I percorsi ci sono e sono gestiti bene. Ma forse ha ragione chi dice che è più probabile prendere il virus fuori dall’ospedale che dentro. Comunque anche nei reparti anche se sei concentrato al cento per cento, la sicurezza assoluta non ci può mai essere. Sicuramente ci sarà una quota di personale che si infetta a casa, e chi si infetta in ospedale. Il Covid gira. E la possibilità di prenderlo è tutt’altro che remota anche da noi. Figuriamoci fuori…
Ma il record di morti di giovedì, con 9 morti, speculare ai 347 morti lombardi e ai quasi mille italiani? Com’è possibile che muoia ancora così tanta gente, con i nuovi protocolli?
In verità non sappiamo ancora come curarlo questo virus. Proprio ieri è uscito uno studio sul Remdesivir, un antivirale, che sembrava essere efficace. Non lo è. Fondamentalmente non ha quasi senso, come non ha avuto senso nella prima ondata usare l’idrossiclorochina. Tanti morti derivano dal fatto che molti di loro sono stati ospedalizzati da molto tempo. O si riprendono in fretta, o la malattia ha spesso un esito infausto. Poi ci sono tanti anziani, è vero. Ma resta il fatto che non la conosciamo ancora questa malattia. Il problema è non intasare le terapie intensive. E ora avviene ancora.
Il paziente in terapia intensiva quanto ci rimane?
Almeno un mese, un mese e mezzo… Chi è in subintensiva dalle tre settimane a un mese. Senza contare la riabilitazione. Un malato Covid non esce prima di 4-5 mesi dall’ospedale.
C’è solo da sperare di non prenderlo?
Proprio così. È la miglior cura. Non prenderlo. Certo, noi rianimatori viviamo alla giornata, non facciamo previsioni, non ci spingiamo avanti. Anche per la questione vaccino. Il nostro unico pensiero fisso è organizzarci per gennaio, sperando che il periodo natalizio vada via liscio. Ma noi stiamo preparandoci per la terza ondata. Quando poi ci diranno che c’è il vaccino, faremo di conseguenza.
Come fate a resistere non solo alla fatica, ma a questa situazione che non concede tregua?
Ripeto: abbiamo imparato a vivere alla giornata come ci ha insegnato il nostro primario Mario Tavola. Ogni giorno entriamo in reparto e ogni giorno combattiamo con le armi che abbiamo. Senza fare congetture o ipotesi. Poi ci si prepara alla terza ondata. Si fa in modo, ci si prova, di attrezzarci per (quasi) ogni evenienza. Non siamo certo cinici. Soffriamo molto per ogni paziente. Ma non serve farci travolgere dalle emozioni. Dobbiamo cercare di rimanere razionali.
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