«Propositi concreti di attentati»

Isis, Raim faceva sul serio

Rese note le motivazioni del Tribunale che ha deciso di tenere in carcere il pugile di Lecco con la moglie e gli altri coinvolti nell’operazione antiterrorismo della Digos di Lecco e dei Ros di Milano

Abderrahim Moutaharrik il 27enne campione internazionale di kickboxing di origini marocchine che abitava a Lecco, la moglie Salma e un altro presunto jihadista, tra gli arrestati lo scorso aprile con l’accusa di terrorismo internazionale avevano “propositi (..) del tutto concreti, si preparavano a partire per i territori del califfato, facevano proselitismo, si erano messi a disposizione della organizzazione che poteva contare su di loro per compiere attentati, avevano preso contatti con soggetti sicuramente appartenenti all’Is (si pensi alla persona chiamata Sceicco) in tal modo dimostrando la serietà degli intenti».

Lo si legge nelle motivazioni con cui il Tribunale del Riesame ha respinto la richiesta di revoca della misura cautelare in carcere per la coppia e per Abderrahmane Khachia, marocchino di 23 anni, residente in provincia di Varese.

Nell’atto viene riportata una intercettazione in cui Moutharrik dice che gli «sembrava (..) un crimine» «cancellare con il solvente una bandiera» dell’Is «che aveva dipinto con la vernice».

Moutharrik venne arrestato con la moglie un paio di mesi fa in un’operazione coordinata dalla Procura di Milano che ha smantellato una presunta rete dell’Isis nel nord Italia: i due stavano pianificando di lasciare Lecco per raggiungere il califfato con i due figlioletti e lui si era reso disponibile a compiere attentati, in particolare contro il Vaticano o l’ambasciata israeliana. Oltre ai due sono finiti in cella anche Abderrahmane Khachia, marocchino di 23 anni, residente in provincia di Varese e fratello di Oussama, foreign fighter morto ’martirè alla fine dell’anno scorso, e Wafa Koraichi, 24 anni appena compiuti.

Quest’ultima, fermata a Baveno, sulla sponda piemontese del lago Maggiore, è sorella di Mohamed Koraichi, il marocchino di 31 anni che con la moglie italiana e di 8 anni più grande, Alice Brignoli, e ai loro tre piccoli, di 6, 4 e 2 anni, da più di un anno ha lasciato Bulciago, centro nel lecchese, per unirsi alle truppe dell’Isis.

I giudici, come si legge nelle 16 pagine depositate ieri a corredo della decisione dell’11 maggio di confermare il carcere per i tre presunti jihadisti, respingono le tesi con cui si erano difesi affermando che quelle intercettate erano «solo parole senza alcun serio proposito». Anzi «propositi c’erano ed erano del tutto concreti», annotano. In più i fatti contestati “sono recentissimi, le intercettazioni hanno evidenziato una volontà concreta di attuare i propositi criminosi o sul territorio nazionale o altrove raggiungendo i territori dello stato islamico e ricongiungendosi con altri appartenenti alla organizzazione criminale». Quanto a Moutharrik, dalle indagini è emerso che «coltiva tali intenti sin dal 2009» e poi, dato che l’organizzazione chiamata Stato Islamico «è più che operativa (...) può ritenersi sostanzialmente certo che si presenteranno le occasioni per perseguire le sue finalità (tra cui proselitismo, propaganda, raggiungimento dei territori, esecuzione di atti di violenza) e che il ricorrente le attui». Infine l’ordinanza spunta un dialogo in cui il pugile, in carcere a Sassari, la scorsa primavera, cercando di capire con la moglie il motivo per cui le autorità svizzere gli avevano vietato l’ingresso nella confederazione elvetica - dove si allenava, faceva incontri di kickboxing ed era diventato un “semiprofessionista» - dice «di aver cercato di «cancellare con il solvente una bandiera» dell’Is «che aveva dipinto con la vernice e che mentre la cancellava gli sembrava di commettere un crimine».

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