Pronto soccorso di Lecco, 200 accessi al giorno e spazi inadeguati

Medici, infermieri, operatori socio sanitari lavorano su turni, H24, mediamente 6-7 ore durante il giorno e 12 di notte. Senza un attimo di pausa. Il burn-out è un rischio concreto, reale, per tanti lavoratori del Manzoni. Lo rischiano tutti quelli che lavorano lì, al Pronto Soccorso. A inizio anno come a fine anno. Ogni giorno può essere di super lavoro. Non ci sono flessioni. Si avvicinano le festività natalizie e in questo periodo lo scorso anno si sono arrivati a sfiorare i 250 accessi giornalieri. Ma i 200 accessi al giorno sono una media ponderata tra le ondate di calore d’estate e l’influenza d’inverno. Poi le virosi respiratorie la fanno da padrone con tutte le loro complicanze quando impattano su un soggetto pluripatologico, o come dicono i medici in gergo tecnico, “comorbido”.

Il PS è spesso utilizzato dalle persone come un grande Medico di Medicina Generale, ma senza impedimenti di appuntamento, di orari (8-20), di festività (il sabato e la domenica il Mmg non è reperibile). E soprattutto il PS è il luogo dove si fanno gli esami gratis. Sembra brutto dirlo ma tante persone, per necessità, preferiscono passare di qui che fare tutta la trafila medico di base-ricetta-prenotazione (quando ci si riesce), esaurimento della lista d’attesa-esame. Le Case della Comunità o gli Ospedali di Comunità, nel prossimo futuro, potranno filtrare questi accessi impropri. Peccato che poi manchi sempre il personale infermieristico e medico, il che è un problema che non si può risolvere facilmente e in tempi brevi. È evidente che le persone si rivolgono all’emergenza-urgenza perché non hanno risposte altrove. È un dato di fatto. Altrimenti non si spiega perché tanti codici verdi e anche bianchi si rivolgano a strutture d’emergenza. I codici minori rappresentano il 70 per cento degli accessi ma potrebbero e dovrebbero trovare soluzioni in altre linee d’intervento. E gli stessi medici del Pronto Soccorso lo hanno sempre detto: “Se non sono attive queste linee alternative, non possiamo responsabilizzare solo i pazienti bensì il sistema”.

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