Cronaca / Lecco città
Giovedì 27 Agosto 2015
«Pensione a 62 anni
opportunità e rischi»
Nasce la flessibilità per uscire dal lavoro, la Cgil avverte: «Tra i dipendenti situazioni diverse. Va valutato caso per caso per evitare future povertà»
Lasciare il lavoro a 62-63 anni, prima dell’età pensionabile, a fronte di un taglio dell’assegno pensionistico e con la possibilità di integrare il minor introito con un prestito previdenziale.
Per il Governo, che ci sta lavorando in vista della discussione, in ottobre, della Legge di stabilità 2016, il mix fra pensione anticipata con penalità inizialmente del 3% l’anno e prestito previdenziale è un modo per favorire la flessibilità in uscita e mettere in sicurezza i conti pubblici.
Per i sindacalisti dello Spi Cgil di Lecco è un passo falso che apre la porta a nuovi indebitamenti e future povertà.
«Chiariamo – dice il segretario dello Spi Cgil Marco Brigatti – che la pensione è salario differito che deve essere sufficiente per un adeguato standard di vita, tant’è che si rivaluta in base all’inflazione. Ora ci chiediamo come si possa pensare in termini indiscriminati, in quanto basati solo su un aspetto anagrafico, a una formula con prestito previdenziale, in quanto tale oneroso, basato su quanto uno prenderà come pensione fra 4-5 anni, a seconda dell’età in cui fa l’uscita anticipata dal lavoro. È come darsi un appuntamento con un debito strutturale sulla propria pensione, assicurandosi nella maggior parte dei casi povertà futura. Una sorta di azzardo che si può pagare anche a caro prezzo».
Ma il sindacalista non boccia del tutto l’ipotesi: «Noi siamo a favore di meccanismi di flessibilità in uscita, ma in questo caso invece di applicare la formula esclusivamente in base a un dato anagrafico – spiega – riteniamo si debba tener conto della relazione fra età e contribuzione. Fra i lavoratori ci sono situazioni diverse, da chi fa lavori usuranti a chi comunque ha iniziato a lavorare giovanissimo, ha tanti anni di versamenti, è ancora giovane ma non ha un volume di contributi tale da garantirgli adeguata pensione, perché magari ha svolto un lavoro umile o poco pagato. Ciò per dire – aggiunge – che il Governo non può, per far prevalere esigenze di cassa a carico dei soliti noti, uniformare una riforma solo su un dato anagrafico ma deve saper combinare più elementi. Non può essere questa la risposta alle rigidità della legge Fornero».
La strada da rivalutare secondo Brigatti è quella delle quote, cioè età più anzianità contributiva senza penalizzazioni, nate su proposta dell’ex ministro Damiano e superate l’1 gennaio 2012 dalla pensione anticipata della riforma Fornero.
«Ciò che ora conta – aggiunge Brigatti – è poter rispettare tutta la storia contributiva, lavorativa e anagrafica di una persona e una giusta sintesi non può stare in una riforma che, come afferma il Governo, debba essere a costo zero. Per applicarla servono idonee risorse, e non basta certo sapere che la nuova ipotesi a cui il Governo sta lavorando nasce da un’idea del presidente dell’Inps. Tito Boeri, da tecnico per quanto titolato e qualificato, pensa in base alle sue esigenze di gestione dell’Inps, ma la politica deve saper allargare lo sguardo e le proprie proposte sulle diverse situazioni dei lavoratori».
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