Cronaca / Lecco città
Lunedì 11 Novembre 2019
«Mio marito ammazzato
sotto ponte di Annone»
La storia La vedova di Claudio Bertini, vittima del crollo, chiede che si accelerino i tempi. Sul reato di omicidio colposo il rischio prescrizione: «Non è morta solo una persona, ma “la mia” persona»
«Il mio appello è che si faccia di tutto per rispettare i termini e rendere giustizia a mio marito»: Augusta Brusadelli, vedova di Claudio Bertini – il 68enne civatese morto nel cedimento del ponte di Annone il 28 ottobre 2016 – ha appreso ieri da queste colonne che incombe la prescrizione sull’omicidio colposo ipotizzato a carico degli imputati nel processo al via il prossimo 8 gennaio.
I termini, per questo reato, sono sette anni e mezzo; il doppio, per disastro colposo e crollo: le pare giusto?
In Italia, la morte di una persona è secondaria rispetto ai danni alle infrastrutture: però, mi si dice, il crollo riguarda tante persone, mentre sotto il ponte di Annone ne è “fortunatamente morta una sola”. Certo, ma quella era, per me, “la” persona; la sola che avevo.
La sera in cui il cedimento avvenne, suo marito transitava lungo la statale 36 di rientro da Milano, dove lavorava. Dopo avere commemorato con le istituzioni, solo pochi giorni fa, il terzo anniversario, ora questa notizia.
Chiedo che venga amministrata una giustizia giusta, nei tempi giusti: il consulente tecnico nominato dal Tribunale di Lecco, Marco Di Prisco, depositò la propria relazione ad agosto del 2017, scritta benissimo. Ne emergono chiaramente una serie di responsabilità. Ora, se da un lato è riconosciuto alla Procura di avere svolto indagini accurate per arrivare al processo al meglio, sarebbe dall’altro assurdo che subentrasse la prescrizione: tutto questo lavoro, nell’interesse della giustizia, per poi arrivare a non avere giustizia? Purtroppo, la Procura di Lecco è sotto organico; si sono verificati diversi avvicendamenti in itinere e anche questo ha contribuito a dilatare i tempi, determinando i tre anni di indagini: tutto ciò, tuttavia, non può ricadere sulla vittima.
Rivendicò, fin dal primo istante. una «giustizia giusta»: la invocò al funerale; lo ribadisce ora: in che senso?
Voglio giustizia e, per me, ciò significa un’attribuzione certa di responsabilità. Da questo può discendere il risarcimento, ma sinceramente trovo assurda anche solo l’idea di stabilire il prezzo di una vita umana. Chi ha sbagliato, causando col proprio comportamento il crollo del ponte di Annone, deve essere individuato: moralmente e umanamente, non chiedo e non mi accontento di nient’altro. Mio marito non è morto: è stato ammazzato. Se, tra quando ciò è successo e l’udienza preliminare sono trascorsi oltre tre anni, ciò non deve essere di pregiudizio all’accertamento delle responsabilità e non può andare a scapito della vittima.
Che cosa ha pensato, leggendo l’articolo ieri in prima pagina sul nostro giornale?
Mi è sgorgato questo appello: che si rimanga nei termini e non si arrivi al paradosso di avere cercato d’accertare così scrupolosamente la verità, da riuscire ad affermarla troppo tardi. Certo, tra quindici anni potremo magari sapere chi si è reso responsabile del disastro e del crollo, ma non dell’omicidio: per mio marito, ucciso da responsabilità precise mentre tornava a casa dal lavoro, io chiedo una condanna, precisa e specifica. Non è solo crollato un ponte: è morta una persona; e, per me, non è morta “solo” una persona.
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