Cronaca / Lecco città
Mercoledì 29 Aprile 2020
Lecco. Negozi abbigliamento
Facile dire “sanificazione”
Una delle categorie più penalizzate dalla crisi attende più chiarezza sulle misure per riaprire
Dal 18 maggio dovrebbero poter rialzare la saracinesca, ma a oggi non hanno ancora ricevuto indicazioni chiare su quali norme sanitarie dovranno rispettare. Tra le attività economiche che più di tutti stanno pagando il lockdown dovuto al coronavirus, ci sono i negozi di abbigliamento, come la boutique Parolari di via Roma a Lecco.
«La licenza della nostra attività, aperta da mio nonno, è data 1925 e da allora credo non sia rimasta chiusa nemmeno in guerra. Oggi – spiega Stefano Parolari, che collabora insieme ai genitori e al fratello nella gestione del negozio - ci troviamo ad affrontare questa serrata che per quel che ci riguarda ha significato il blocco totale delle attività. Al momento è difficile iniziare a prepararsi alla riapertura del 18, bisognerà vedere quale saranno le effettive prescrizioni di legge che dovremo rispettare».
A mancare al momento è la chiarezza: «Per ora le uniche norme certe – continua - sono quelle relative alla pulizia e del distanziamento sociale, quindi al numero limitato di accessi in contemporanea in negozio, alla presenza di gel per le mani e all’uso delle mascherine. Altre di cui si sente parlare però non sono chiare: cosa significa esattamente sanificare? In che modo va fatto? È possibile farlo senza rovinare i vestiti che vendiamo? Restiamo in attesa di comunicazioni ufficiali, la speranza è che si tratti di richieste fattibili».
L’incertezza riguarda anche il comportamento delle persone: «Riapriremo, dopo aver perso parte di una stagione e tutta quella primaverile, senza sapere che tipo di reazione le persone potrebbero avere. Avranno voglia di pensare a spendere o vivranno ancora una situazione di paura? Ci saranno riflessi che andranno avanti per mesi».
C’è poi il tema economico: «Non si capisce che tante attività non sono arrivate a marzo, al lockdown, floride. In questi anni il commerciante ha tenuto aperto perché quella era la sua vita, non perché ci fossero chissà che guadagni. In tutti i settori in molti sono riusciti a sopravvivere nonostante un rapporto pessimo con la pressione fiscale, perché non è basata su dati reddituali reali, ma su parametri». Gli aiuti giunti fino adesso sembrano non bastare: «Per quel che riguarda i prestiti da 25mila euro, ci sono dei vincoli come il tetto del 25% del fatturato dello scorso anno che non tengono conto di quanto si è tenuto chiuso. E comunque rischiano di essere cifre non adeguate rispetto alle spese fisse che le attività hanno. Senza contributi a fondo perduto o senza una reazione fiscale, in diversi difficilmente riusciranno a riaprire». Una crisi dall’impatto molto forte: «Non siamo ancora in grado di capire – conclude Parolari - quanto profonda sarà, per le singole attività e per il Paese, la voragine».
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