Cronaca / Lecco città
Domenica 05 Maggio 2019
Lecco, «La mafia si nutre
dei nostri silenzi»
Paolo Borrometi il giornalista siciliano da anni sotto scorta ha incontrato gli studenti lecchesi. Tutti abbiamo il dovere di vigilare: «Proprio al nord le cosche sono entrate nell’economia»
Tantissimi studenti hanno incontrato ieri mattina in Sala don Ticozzi a Lecco, il giornalista siciliano Paolo Borrometi, da molti anni sotto scorta. E’ stata una straordinaria lezione di legalità da parte di un cronista che da anni indaga sui loschi affari di Cosa Nostra e per questo rischia la vita tutti i giorni. Organizzato dal Centro promozione legalità, l’incontro ha visto la partecipazione di alcune classi degli Istituti Bertacchi e Parini. Erano presenti anche il prefetto Michele Formiglio, la vice sindaca Francesca Bonacina e Guerrino Donegà dell’Associazione Libera.
Dopo aver portato i suoi saluti, il prefetto Formiglio ha ricordato ai ragazzi presenti la necessità di una nuova resistenza: «Oggi dobbiamo perseguire la resistenza contro la criminalità organizzata e la corruzione. Dobbiamo lavorare perché prevalgano i valori della legalità nel nome e nel ricordo di chi combatté per liberare l’Italia dal nazifascismo».
Libertà di stampa
Se poi teniamo conto del fatto che ieri è stata la giornata internazionale della libertà di stampa, possiamo capire come la testimonianza di Paolo Borrometi abbia toccato uno dei fondamentali valori di ogni democrazia. Intervistato da Lorenza Pagano, giornalista del nostro quotidiano, Borrometi ha anche presentato il suo primo libro, “Un morto ogni tanto” (Solferino). L’incontro è iniziato proprio con una riflessione sui motivi che hanno portato alla pubblicazione di questo volume: «Avevo bisogno di mettere nero su bianco quello che sapevo, facendo nomi e cognomi. La mia unica possibilità di oppormi alla criminalità era quella di scrivere, per questo ho raccontato tutto quello che avevo scoperto perché tutti lo sapessero. In questo nostro Paese sconfiggeremo le mafie con le forze dell’ordine e le istituzioni ma anche con l’impegno civico di ciascuno di noi. Le mie pagine vogliono essere un aiuto per scegliere da che parte stare, perché la mafia si nutre di complicità ma anche e soprattutto dell’indifferenza di chi finge di non sapere e volta le spalle all’ingiustizia».
Vivere sotto scorta
La scintilla che ha persuaso Borrometi a scrivere è scattata il 10 aprile 2018, quando grazie ad alcune intercettazioni le forze dell’ordine scoprirono che il boss di Pachino stava organizzando l’eliminazione di Borrometi e della sua scorta con un’auto bomba. Il giornalista era peraltro già sotto scorta dal 2014, quando fu massacrato di botte per “convincerlo” a stare zitto. Ma perché la mafia di Pachino era arrivata a voler uccidere un giornalista? «Tutto era iniziato dopo un incontro con gli studenti, come accade qui questa mattina. Al termine una ragazza mi ha avvicinato e piangendo mi ha detto di aiutare suo papà ed altri produttori di pomodorini Pachino, che erano praticamente impossibilitati a fare il loro lavoro. Andai ad indagare e scoprii che la più grande azienda del Consorzio Igp Pomodoro di Pachino si chiamava “Fenice” ed era stata creata dal capomafia Salvatore Giuliano. Lo scrissi e scoppiò uno scandalo, l’azienda fu sospesa ed io finii nel mirino dei Giuliano».
Un esempio chiaro, quest’ultimo, di come le mafie non abbiano solo la violenza fisica come loro arma per incistarsi dentro la società: «Sarebbe un errore madornale pensare che le mafie operino solo nel Sud Italia. Uno dei luoghi in cui più si sono inserite è il Nord Italia ed anzi il Nord Europa. E’ una piovra che con le sue attività illecite ha accumulato tantissimo denaro ed i luoghi in cui l’economia è più ricca sono ideali per fare affari».
Occhi aperti
Per questo, ha detto in conclusione Borrometi, c’è bisogno che tutti si impegnino ad essere cittadini onesti e vigili: «Oggi c’è sicuramente più consapevolezza di qualche anno fa, ma tantissimo bisogna ancora fare partendo proprio dall’impegno di ciascuno di noi. Non dobbiamo dimenticare che peggio della mafia c’è solo la “cultura” della mafia»
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