Cronaca / Lecco città
Mercoledì 07 Giugno 2017
Lecco e la crisi del Golfo
Le aziende rischiano poco
Lo scacco a Doha: L’export del 2016 è di pochi milioni. Piazza (Api): «Ma il Qatar è un mercato promettente e le nostre imprese non innesteranno la retromarcia»
Le nuove tensioni nel mondo arabo innescate dalla rottura delle relazioni diplomatiche col Qatar e, di fatto, con l’isolamento della capitale Doha, da parte di tre nazioni del Golfo (Barhein, Arabia Saudita ed Emirati) più Egitto, Libia, Yemen e Maldive rendono prudenti, ma senza fermarli, gli imprenditori che fanno business nel regno dell’emiro Al Thani.
Per le imprese lecchesi il Qatar è un mercato d’interesse seppure con numeri di interscambio contenuti visto che le esportazioni nel 2016, secondo dati elaborati dalla Camera di Commercio di Milano, sono state pari a poco meno di 4 milioni di euro, contro i poco più di 6 milioni del 2015.
I dati lecchesi fermi a dicembre 2016 segnano dunque un calo, contro quello che, ci assicura l’ufficio estero di Api e Confartigianato, tuttavia in questi mesi è nei fatti un ritorno d’interesse per le imprese locali verso il business a Doha.
«Il Qatar è uno dei nuovi mercati su cui abbiamo deciso di portare le nostre aziende - afferma Marco Piazza, responsabile dell’ufficio estero per Api -, e lo facciamo non con azioni massive ma su misura delle richieste delle singole imprese. Abbiamo iniziato da pochi mesi ma già siamo attivi con sette imprese concretamente impegnate nei primi passi di business su quel Paese. Sono aziende dei settori medicale, dell’edilizia, dell’accessoristica per moto e auto di lusso, dell’illuminotecnica, dei mobili e dei serramenti».
Per Piazza le difficoltà non sono tanto legate alle nuova crisi geopolitica che in questi giorni assedia Doha bensì a quello che è comunque un mercato complicato e di difficile penetrazione.
Se le mediazioni in corso in queste ore da parte di Turchia, Kuwait e Oman per la ripresa delle relazioni e lo sblocco di frontiere e spazio aereo non dovessero funzionare, «ciò per le nostre imprese significa che cambieranno meccanismi, vie di comunicazione, sdoganamenti e costi di trasporto senza che ciò comporti la rinuncia al business».
Api opera in Qatar come devono fare tutti coloro che vogliono fare business con Doha, cioè attraverso un contatto locale possibilmente legato a chi tiene le fila degli appalti, cioè la famiglia dell’emiro.
«Noi - aggiunge Piazza - possiamo andare su quel mercato direttamente e dove cogliamo per le nostre imprese opportunità di fornitura di prodotti e servizi continueremo ad esserci. Il Paese ha stanziato piani di investimento a lungo termine, ha risorse, le sta spendendo. Le imprese non stanno affatto considerando di fermarsi. Il nostro contatto è di nazionalità libanese, vive sul posto, fa parte dell’establishment della famiglia reale. Diciamo che per ora, nonostante la chiusura delle frontiere, un ponte levatoio per servire il castello le nostre aziende lo hanno». Il castello, letteralmente, visto che buona parte delle commesse gira proprio sull’edilizia e gli arredi delle residenze reali.
«Il nostro sforzo - conclude Piazza - è volto ad accorciare la catena delle commesse per le nostre imprese, vista la gran quantità di società che le avvicinano come intermediarie secondo quelle che sono pure dinamiche di vendita. Il Qatar sta costruendo edifici in quantità e velocità impressionanti, e i committenti hanno capito che la qualità delle forniture italiane in macchinari e know how sono impareggiabili, e noi aiutiamo le nostre imprese a entrare direttamente».
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