Cronaca / Lecco città
Venerdì 01 Aprile 2016
Le assassine in corsia
Piombino come Lecco
«Ma Sonia era diversa»
L’intervista L’avvocato Rea dopo l’ultimo arresto
«La Caleffi voleva creare allarme per mettersi in luce»
L’infermiera del Manzoni libera forse nel 2017
Secondo i carabinieri usava massicce dosi di Eparina, un medicinale anticoagulante, che provocava emorragie interne fatali. Uccideva a caso, dicono i militari del Nucleo antisofistificazioni, senza un movente, ma solo perché era depressa, abusava di alcol e psicofarmaci. Per questo un’infermiera di 55 anni, Fausta Bonino, è stata arrestata dai carabinieri di Livorno: lavora all’ospedale di Piombino ed è accusata di aver ucciso in un anno e mezzo 13 persone, tra i 61 e gli 88 anni, ricoverate nel reparto di Rianimazione di Piombino: pazienti in condizioni gravi, ma non terminali. La notizia ha riaperto una ferita mai chiusa: quella del caso Caleffi, l’infermiera dell’ospedale Manzoni di Lecco condannata a vent’anni per aver provocato la morte di cinque anziani e il tentato omicidio di altri tre. Venne arrestata il 14 dicembre del 2004. Sonya Caleffi, originaria di Tavernerio (un trascorso professionale senza macchia al Sant’Anna, al Valduce e in vari altri istituti della provincia di Como), sta scontando la sua pena nel carcere di Bollate, ha già usufruito di alcuni permessi premio. Difficile che le venga concessa la semilibertà ma, a conti fatti, tra poco più di un anno, nell’estate del 2017, potrebbe uscire di prigione. Definitivamente. Una donna libera
«Analizzando i due casi la prima differenza che mi colpisce è il modus operandi - racconta Claudio Rea, il penalista lecchese che ha assistito l’infermiera in tutti e tre i gradi di giudizio -. Sonia iniettava ai pazienti dell’aria, per provocare un’emergenza medica e avere la possibilità di mettersi in mostra. Non c’era, in sostanza, un intento omicida fine a se stesso come mi pare in questo caso. Per l’infermiera di Piombino, invece, questo intento mi pare evidente. Inoltre, se non fosse stato per la sua confessione, a Sonya avrebbero potuto attribuire un solo omicidio, quella di Cristina Maria di Dorio, morta a 99 anni. Per gli altri episodi è stata necessaria la sua collaborazione, altrimenti non si sarebbe riusciti a provare il nesso causale. Sarebbe molto interessante poter analizzare l’ordinanza di custodia cautelare del caso di Piombino per stabilire come si sia arrivati all’arresto. Fuor di dubbio comunque che siano entrambe serial killer».
Sul caso Caleffi ha anche pubblicato, nel 2012, per Baldini e Castoldi “Difesa d’ufficio”, che narra la vicenda in chiave romanzata. «Un’altra analogia tra i due casi è l’improvviso innalzamento del numero di decessi nel reparto in cui le due infermiere operavano - conclude Rea -. Nel caso di Sonya, prima che si scoprisse delle iniezioni d’aria per provocare embolie, non si era mai pensato a qualcosa di anomalo, se non a un questione di sfortuna. Tanto che alla Caleffi avevano dato un soprannome tutt’altro che lusinghiero, dal momento che i pazienti che le venivano affidati morivano: la chiamavano “la sfigata”».
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