Cronaca / Lecco città
Giovedì 20 Aprile 2017
«La nostra qualità
è più garantita»
L’obbligo di indicare la provenienza del latte è accolto con favore dai produttori valsassinesi, Barone (Carozzi): «Si valorizzano i prodotti», Minuzzo (Mauri): «Ma è una norma che vale solo per Italia e Francia»
A dare l’idea di quanto la novità dell’etichettatura d’origine di latte e derivati in vigore da ieri riguardi in primo luogo la grande industria del settore è, in queste ore, la rapida ricollocazione dei prodotti caseari negli scaffali della grande distribuzione.
Ma fra produttori locali di latte che conferiscono materia prima anche all’industria e produttori di formaggi la novità riguarda anche le piccole imprese della provincia di Lecco.
Secondo Coldiretti, nel Lecchese sono 155 gli allevatori di bovini, di cui 94 con orientamento produttivo esclusivo da latte (per un totale di 5.484 capi) e 61 per produzione mista (carne-latte) per 985 capi. Sul totale, il 53% munge, trasforma in proprio e vende direttamente ai consumatori il proprio formaggio; il 7,5% vende il latte all’industria e il 45,5% lo vende alle cooperative di trasformazione.
Anche per l’industria casearia lecchese il principio della trasparenza su cui è stata determinante la pressione di Coldiretti sul legislatore è benvenuto. Peccato solo, ci dicono in Carozzi e Mauri, due grandi marchi locali di formaggi che producono Dop (esonerato, come l’Igp, il bio e il latte fresco, dal nuovo obbligo in quanto già normati) ma non solo, che una norma applicata solo sui mercati di Italia e Francia ne restringa parecchio l’efficacia. Per i 500 milioni di kg di formaggio esportati ogni anno e per i 480 milioni di litri di latte Uht importato la nuova regola non vale.
«Naturalmente ci adeguiamo alle leggi - ci dice Donata Barone, titolare di Carozzi -. Produciamo in gran parte Dop, ma per il resto comunque indicare la provenienza del prodotto per noi è solo un modo per aggiungere valore al prodotto italiano. Peccato che essendo la norma vigente solo sul mercato italiano alla fine lasci un po’ il tempo che trova. Comunque - conclude l’imprenditrice, che ha 30 dipendenti - nella nostra quota di prodotti non Dop forniamo già una tracciabilità completa. Abbiamo alcuni prodotti che compriamo da altri caseifici locali e li portiamo in stagionatura, mentre per il latte compriamo pressoché totalmente latte italiano. Per noi significa solo mettere senza problemi solo un’annotazione in più in etichetta».
Con l’acquisto di circa 150mila litri al giorno di latte italiano anche in “Mauri Formaggi” conoscono bene l’importanza di esser chiari sulla provenienza: «La nuova norma - ci dice Emilio Minuzzo, rappresentante della quinta generazione di imprenditori in Mauri Formaggi - è un passo avanti per il consumatore che speriamo recepisca l’importanza di leggere le etichette e assicurarsi un differenziale di valore sul prodotto finale. Però - aggiunge - ci chiediamo se in una libera economia sia giusto imporre l’obbligo in due nazioni, Italia e Francia, e lasciare che le altre ne siano esonerate. È una concorrenza a due velocità non proprio rappresentativa di un’economia di mercato. Noi - conclude Minuzzo - siamo contenti di una norma che tutela quello che nella nostra azienda è un impegno per la qualità che dura da 100 anni, ma serve una riflessione generale su questa sperimentazione».
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