Cronaca / Lecco città
Domenica 29 Marzo 2020
«I regali per i miei 95 anni?
Fateli all’ospedale di Lecco»
La storia. Umberto Polvara taglia il traguardo dei 95 anni: «Il mio segreto? L’attività fisica praticata sempre». E alla città chiede un regalo: «Sosteniamo tutti la campagna Fondazione Comunitaria del Lecchese per gli ospedali»
Il lecchese Umberto Polvara ha tagliato tantissimi traguardi: da quello della maratona di New York a quello della Vasalopett di sci fondo in Svezia; da quello della marcialonga della val di Fiemme a quello della marcia del passatore fra Firenze e Faenza. Ma quello che oltrepassa a braccia alzate in questi giorni è il più importante: il 31 marzo compie 95 anni portati splendidamente nel corpo e nello spirito. Per festeggiare chiede ad amici e parenti di sostenere la campagna della Fondazione Comunitaria del lecchese per gli ospedali di Lecco e Merate.
«Io l’ho già fatto- annuncia- se volete seguire il mio esempio è un regalo che mi fate. Avrei voluto festeggiare questa ricorrenza con i parenti, gli amici, i miei amati alpini, ma non sarà possibile. Perciò chiedo questo piccolo, grande gesto a tutti coloro che desiderano festeggiarmi».
Restrizioni terribili
Per Polvara le restrizioni legate all’emergenza sono terribili da accettare: per lui il movimento è salute. «Sono certo-afferma - che il segreto della mia longevità è l’attività fisica. Sono arrivato a questa età perché ho sempre svolto attività sportiva all’aria aperta. Fino a due anni fa ho partecipato alla camminata Manzoniana; ho partecipato a venticinque “cento chilometri”. Ne ricordo una in particolare in Svizzera: si mise a nevicare e gli infermieri soccorrevano gli atleti lungo il percorso. Io continuai la gara, perché chi si ferma è perduto, e tagliai il traguardo».
Lui proviene da una famiglia numerosa, secondo di otto fratelli; il padre morì giovane, il fratello maggiore Adelio cadde in guerra e così gli è spettato il duro compito del capofamiglia.
«Ho fatto il giro d’Italia in bicicletta- racconta- quando partii da Lecco il podestà Bartesaghi mi diede una pergamena per il sindaco di Trieste che recitava così: come Renzo e Lucia si sono uniti in matrimonio, così ci auguriamo che anche Trieste torni alla madrepatria».
La svolta americana
Umberto visse nel secondo dopoguerra in America per 14 mesi grazie al piano Marshall e questo cambiò la sua vita. Apprese la tecnica della fotografia e al rientro in Italia venne assunto dalla Kodak dove lavorò fin quando non aprì un proprio laboratorio. Prima aveva lavorato presso la ditta Aldè dove aveva conosciuto la moglie Giovanna con la quale ha avuto due figli: Paola e Carlo. Un amore durato quasi sessant’anni. «Papà ci ha sorpreso- racconta Paola- perché quando mamma si è ammalata ha mollato tutto per occuparsi di lei; le è stato al fianco fino all’ultimo minuto».
Evidentemente il cuore d’oro è una dote di famiglia perché in questo momento anche Paola e Carlo, che vivono a Milano, si sono trasferiti a Lecco per poter seguire da vicino il papà che, nonostante porti egregiamente i suoi 95 anni, «ha comunque bisogno di essere protetto».
Umberto ha fatto quella che lui definisce amaramente «l’infida guerra». «Quando arrivò la cartolina-ricorda- io ed un amico ci demmo alla macchia sul Magnodeno dove sapevamo esserci alcuni partigiani: eravamo appena diciottenni e l’armistizio era stato firmato. Noi eravamo stati chiamati dalla Repubblica di Salò; ma i partigiani ci rispedirono al mittente, e quando rientrai mia mamma era stata arrestata e portata in carcere a Pescarenico: mi presentai e la liberarono. Fui mandato in Germania in un campo di addestramento: i tedeschi ci consideravano dei traditori e ci trattavano come prigionieri, faceva freddo, le temperature scendevano al di sotto dei dieci gradi, ebbi un congelamento alle orecchie; soffrivamo la fame, molti miei compagni morirono d’inedia. Io ce la feci perché curavo i cavalli e mangiavo un po’ della loro biada; una notte che piangevo per la fame uscii e mangiai l’immondizia. Sono riuscito a portare a casa la pelle, ma proprio solo quella, pesavo 45 chili per un metro e ottanta di altezza».
Polvara utilizza la locuzione “infida guerra” anche per la situazione di emergenza che stiamo vivendo oggi definendola addirittura peggiore: «Durante la guerra eravamo insieme, uniti, adesso siamo soli, isolati contro un nemico invisibile. Spero di portare a casa la pelle come ho fatto allora».
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