Fegato grasso, duemila lecchesi in cura

La patologia in realtà riguarda il 30% della popolazione, pari a circa 90mila residenti in provincia Dottor Pozzoni: «Può portare a infiammazioni, fibrosi e cirrosi. I consigli? Poca carne rossa e niente alcol»

Lecco

Il 19 aprile, sabato santo questo 2025, sarà anche la giornata internazionale del fegato. Ma sarà difficile, in quei giorni di festa, pensare alla salute. Ma che il fegato sia un organo unico, insostituibile (se non con trapianto), e delicato, è una certezza. E Pietro Pozzoni, direttore dell’unità operativa semplice di Epatologia dell’Asst di Lecco, è testimone del fatto che, invece, si pensa a tanti organi (cuore, polmoni in primis), fondamentali per la nostra salute, ma non al fegato. Cosa sbagliata e molto pericolosa.

«Il fegato steatosico, comunemente detto “fegato grasso” è la patologia cronica più diffusa in assoluto. Diciamo che ne soffrono circa il 30 per cento della popolazione adulta lecchese (e italiana), ma sta ingravescendo nei giovani. Per non parlare delle persone diabetiche e sovrappeso per i quali il fegato steatosico raggiunge percentuali vicine all’80 per cento. Nonostante questo è una patologia sottovalutata». Fatte le relative proporzioni vuol dire che su 332mila lecchesi, tolti i circa 50mila under 18, la patologia potrebbe riguardare circa 90mila persone. Una vera e propria epidemia…

Nell’ambulatorio di Epatologia girano più di 300 casi nuovi all’anno e circa 1.500- 2mila sono i pazienti in cura per steatosi. Il fatto che, fino a quando non evolve in vere e proprie epatiti o malattie come la cirrosi, sia praticamente asintomatica, rende questa patologia ancora più subdola: «Se non curata, per fortuna nel corso di molti anni, può portare a steatoepatite e quando il fegato è infiammato, può portare a fibrosi. Vale per tutti gli organi interni, ma soprattutto per il fegato, se il processo infiammatorio dura per anni. Inizialmente può essere lieve, ma se diventa severa, evolve in cirrosi, se non curata».

Il primo problema è che la steatosi in 15-20 anni, da lieve può diventare grave. Il che può portare a insufficienza epatica e epatocarcinoma ovvero tumori del fegato. Ma cosa si può fare per prevenire? «La diagnosi di fegato grasso è incidentale, non dando sintomi. Viene fatta generalmente attraverso un’ecografia che però non ci dice lo stadio della malattia. Per fortuna i medici di medicina generale, basandosi su età, controllo delle due transaminasi e piastrine, e un semplice calcolo, un punteggio, che si chiama “Fib-4”, possono sapere se la steatosi del loro paziente è di grado lieve o grave. Nel caso sia grave, si può poi fare visita specialistica per accertamenti di secondo livello: essenzialmente l’elastografia epatica, detta Fibroscan (che in realtà è la macchina che la esegue). Essa consente di determinare la rigidità, correlata al grado di fibrosi, del fegato. Da qui si hanno indicazioni sulla quantificazione della steatosi».

Ma prima di rivolgersi a esami di secondo livello, se si sa di avere la steatosi, bisogna rivolgersi al medico curante per farsi fare il “calcolo Fib-4. In modo da non intasare impropriamente i reparti di epatologia quando il proprio grado di rischio è basso o bassissimo.

Come, di contro, non è il caso di ignorare il campanello d’allarme che una steatosi può darci. Ma ci sono stili di vita che possono evitare la steatosi? «Non ci sono integratori – premette Pozzoni – né alimenti “magici” per il fegato. Una dieta mediterranea varia, con poca carne, soprattutto rossa, e molte verdure e legumi, e grassi “buoni”, ci può aiutare a rimanere in salute, se accompagniamo l’alimentazione con la quasi totale astensione dall’alcol e dalla sedentarietà».

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